Intervista al geologo Gabriele Cesari
L’Emilia-Romagna è al lavoro per rimettersi in piedi dopo l’alluvione. Della tragedia rimane il dolore per le vittime, i danni economici e l’incertezza sul futuro. Poi ci sono gli interrogativi per capire le motivazioni dietro a questa calamità naturale. Ma c’è soprattutto l’onda di solidarietà e generosità: con donne, uomini e giovani, di quella regione e non solo, a spalare nel fango e ad aiutare nei soccorsi. E poi ci sono le testimonianze di fede, nonostante tutto. Di questo, e tanto altro, parliamo con Gabriele Cesari (nella foto qui sotto), geologo di Imola ed ex presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna.
Dottor Cesari, per prima cosa: lei ha subito danni?
«Io e la mia famiglia non abbiamo avuto conseguenze. Imola è stata abbastanza fortunata in questo senso, non ci sono grandi danni in città. Nelle frazioni ci sono state frane in collina, situazioni di alluvione, ma secondarie rispetto a quello che abbiamo visto in altre zone della Romagna».
Situazioni drammatiche.
«Sì, ma occorre distinguere l’emergenza frane da quella alluvionale».
Partiamo dall’emergenza frane, allora.
«Professionalmente, per questa emergenza, sono stato contattato da Comuni della Vallata del Santerno. La situazione è complessa e andrà vista solo tra qualche settimana. Ci sono state centinaia di segnalazioni, ma sono solo una piccola parte rispetto al totale. Una cosa mai vista, di proporzioni cento volte più grandi rispetto a fenomeni a cui ho assistito. Ci sono frane che hanno dimensione di 300×600 metri, occupano gran parte dei versanti, tagliano alcune strade provinciali, coinvolgono abitazioni. Una situazione molto grave, complessa, anche solo da censire e definire nelle sue dimensioni».
L’alluvione, invece?
«Come credo abbiate visto, l’alluvione ha colpito una ampia zona. In contemporanea sono esondati 23 fiumi, dall’Idice al Marecchia: praticamente tutta la Romagna. Per fortuna, come dicevo, ho avuto a che fare con questa emergenza in modo indiretto, ho aiutato un amico che ha avuto l’alluvione in casa. E poi ho il racconto di mia figlia e di mia moglie che sono andate a spalare fango in zone colpite. Fino alla scorsa settimana la situazione era parecchio grave, per la presenza di acqua ancora in troppe zone. Poi ci sono altre emergenze: a Conselice (in provincia di Ravenna, ndr), mi dicono, non c’è più acqua in città e nei paesi, ma ci sono anche problemi di odori e la concreta possibilità di essere infettati da malattie e batteri. Gli abitanti verranno vaccinati, alcuni hanno fatto il richiamo dell’antitetanica. Ci sono grossi timori per le conseguenze, per il futuro: oltre alle malattie e alla disperazione immediata, ci sono le abitazioni distrutte, cumuli di rifiuti e mobili accatastati per strada. Case, paesi e pezzi di città da salvare e mettere a posto. Per rendere l’idea: i divanetti di una storica sala da ballo a Castel Bolognese sono stati ritrovati in mezzo ai vigneti, centinaia di metri a nord».
Perché avvengono eventi di questo genere? È colpa del cambiamento climatico?
«Per la mia valutazione da geologo, sicuramente c’entrano i cambiamenti climatici. Che, per altro, ciclicamente ci sono sempre stati: sia in tempi di grandi mutamenti, sia in momenti di “ottimo climatico”, un periodo di riscaldamento globale attorno al Mille, fino al XIV secolo. Detto questo, credo sia davvero difficile poter quantificare l’impatto dell’uomo sul cambiamento climatico. Sappiamo che i fiumi cambiano regime, e cambiando passano da situazioni di grandi alluvioni a quelle di relativa tranquillità. D’altronde la pianura padana è alluvionale per natura. Per questo occorre non dimenticare la dinamica propria del fiume, che ha degli spazi e se li riprende nel tempo».
Ci fa un esempio?
«Imola, per esempio, anche storicamente è interessata a questa dinamica. È nota la carta di Leonardo Da Vinci, del 1500, che rappresenta Imola e il fiume Santerno che minaccia le sue mura. Si nota, però, diverso spazio lasciato tra il fiume e la città. Oggi in quello spazio ci sono abitazioni e costruzioni: l’ha occupato l’uomo. E questo è un problema che riguarda tutte le città. Il fiume quando deve scaricare una quantità di acqua, eccezionale o superiore a quella che abbiamo assistito negli ultimi decenni, ha bisogno del suo spazio. Se è stato ristretto, significa che l’acqua andrà a trovare il suo sbocco occupando zone che sono abitate. Ma c’è un’altra parte del problema…».
Ovvero?
«Come viene “messa a regime” l’acqua. In Italia raccogliamo tra l’11 e il 12% dell’acqua piovana. Questa acqua, raccolta nei bacini, viene poi messa a disposizione per diverse attività, in particolare per l’irrigazione dei campi. Il resto defluisce… Mentre la media in Europa è del 40%: c’è una bella differenza. Questo aspetto lo ricollego anche alle frane. Aumentare i sistemi di regimazione delle acque consente di regolare il deflusso, governare e rallentare la velocità con cui l’acqua arriva al fiume. E poi, potenzialmente, poterla deviare in altre aree. Se queste acque venissero ben gestite, potrebbero essere meno dannose».
Adesso è caccia ai colpevoli.
«In tutte le occasioni in cui vedo emergere segni di discordia, accuse reciproche, mi sento di dire che è necessario affrontare questa situazione uniti. Ci sono delle responsabilità, certo. Ma tutti siamo responsabili. Tutti abbiamo costruito. Anche noi geologi, magari, abbiamo sottovalutato i problemi, o non abbiamo avuto immediata consapevolezza di questi avvenimenti. Il punto di partenza, adesso, è mettersi insieme, avere l’umiltà di capire la lezione della natura. Che è una lezione molto semplice: il fiume ci ricorda che ha le sue dinamiche e i suoi spazi, siamo noi che dobbiamo ripensare, con positività, il nostro territorio. Ovvero casa nostra. Adesso siamo tutti al lavoro per rivedere bella la nostra Romagna, non possiamo lasciarla andare così. Ma l’invito che mi sento di fare è di perdere meno tempo a cercare un colpevole: meglio capire e approfondire ciò che dobbiamo imparare da questo grande evento».
E, nel dramma, c’è la solidarietà.
«Una generosità incredibile, che testimonia la grande voglia di ripartire. Mi ha colpito l’umanità delle persone: all’apparenza sembra tutto perso, ma non è così, c’è sempre un qualcosa che spinge a rimboccarsi le maniche e ripartire. L’origine di questa “spinta”, per non soccombere, può essere l’aspetto umano. Ma dietro c’è la fede. Senza dubbio».
Riesce a vedere Dio in una situazione del genere?
«Sì, perché non si spiegherebbe questo sguardo positivo, anche in mezzo al fango. Non si spiegherebbe perché un ragazzo decida di andare al sabato a spalare del fango, invece di stare in spiaggia. Sicuramente emerge il lato umano delle persone, ma chi è cristiano riconosce una Presenza».
Vale per lei?
«Ho dato la mia disponibilità proprio perché una Presenza mi chiama lì. Per me è un’occasione di crescita personale, umana e di fede. Se permette vorrei aggiungere una cosa…».
Prego.
«Credo che l’allerta della Protezione Civile abbia funzionato bene e abbia consentito di limitare il numero di morti, ma sono certo che non sia mancata la Protezione Divina della Madonna così tanto venerata nelle nostre terre nel mese di maggio!».
C’è una testimonianza che vuole raccontarci?
«Il parroco di Lugo, don Leo, mi ha raccontato di un anziano, un uomo di oltre 90 anni, che ha visto la sua casa sventrata dalla piena. Di fronte a chi gli ha detto: “Hai perso tutto”, lui ha risposto: “Ho conservato la mia vita e la mia fede. Ho tutto”. Dalle parole e dalla fede di quell’anziano dobbiamo ripartire».
Alessandro Venticinque