«L’omertà è il secondo abuso. Parlandone insieme, potremo fare dei passi avanti»
Nel 2010 la Diocesi di Bolzano-Bressanone è stata la prima in Italia ad aprire un centro d’ascolto per gestire le segnalazioni su abusi sessuali commessi all’interno della Chiesa. Oggi, dopo 15 anni, la stessa Diocesi ha commissionato la prima indagine indipendente, realizzata dallo studio legale Westpfahl-Spilker-Wastl di Monaco di Baviera, nell’ambito del progetto denominato “Il coraggio di guardare”: oltre 600 pagine di testimonianze, con uno studio sull’archivio diocesano, che hanno portato alla scoperta di 67 casi (59 le vittime e 41 i sacerdoti coinvolti) tra il 1963 e il 2023. Come si legge nel documento, presentato lo scorso 20 gennaio, “risulta infatti che, nell’ambito della Conferenza Episcopale Italiana, si tratti dell’unico progetto sinora avviato per ricostruire ed esaminare in modo del tutto indipendente gli episodi di abuso sessuale”. Ne parliamo con don Gottfried Ugolini (nella foto di copertina), responsabile del servizio tutela dei minori della diocesi di Bolzano-Bressanone, coordinatore del servizio regionale Triveneto e, fino all’estate scorsa, membro del servizio nazionale.
Don Gottfried, cosa ci dice questo documento?
«Per la nostra diocesi è un documento fondato che è, e sarà, alla base dei prossimi passi. Una conferma del percorso che abbiamo intrapreso in questi anni, cercando di conoscere bene il passato e le radici degli abusi, le dinamiche, la modalità di gestione delle comunità. Grazie a questo lavoro possiamo fare meglio da oggi e in futuro. Soltanto se si conoscono le radici di questa piaga si può rimediare, si può “sradicare il male”, per citare le parole di papa Francesco».
Le vittime accertate sono 59, per il 68% donne. Il dato che la colpisce di più?
«Ogni dato che viene presentato è “troppo”. Troppo, perché dietro a ogni abusato c’è una persona con una faccia, una storia, una vita che è stata ferita, e alcuni non hanno retto questo peso. Mi colpisce quel “contesto” che ha favorito, coperto e talora negato la realtà degli abusi all’interno delle comunità, delle associazioni e delle istituzioni ecclesiali. Senza contare che nel documento ci sono solo i dati dei sacerdoti diocesani: gli istituti religiosi, che hanno parrocchie, scuole e convitti, non sono inclusi».
Ci sono casi anche lì?
«Certamente. Da noi la presenza degli istituti religiosi o missionari è massiccia. In generale, sappiamo che i numeri emersi sono solo la punta dell’iceberg, ma possono indurre chi ancora non lo ha fatto a denunciare. In questi giorni abbiamo già ricevuto nuove segnalazioni».
Il vostro documento è il primo nel suo genere in Italia, realizzato dagli stessi legali che nel 2022 avevano compiuto una ricerca simile in Germania.
«Sì, in Italia è il primo. Ci siamo rivolti a uno studio legale di Monaco, che ha esperienza su questi temi, e abbiamo coinvolto uno studio locale».
Anche la Cei ha pubblicato un report nel 2022.
«Quello della Cei offre un quadro della situazione sui servizi legati alla tutela dei minori, sui centri di ascolto, raccogliendo segnalazioni e iniziative realizzate nell’ambito della formazione e sensibilizzazione, ma non presenta dati presi dagli archivi diocesani. Il nostro progetto, invece, è qualcosa di sistematico: ha previsto l’analisi degli archivi diocesani, interviste con persone abusate e con responsabili e testimoni».
Il Vescovo di Bolzano, monsignor Ivo Muser, in conferenza stampa ha chiesto perdono ai soggetti coinvolti, alle comunità parrocchiali, ai sacerdoti accusati e ai fedeli per le sue mancanze, assumendosene ogni responsabilità.
«Le mancanze devono essere affrontate. L’atteggiamento del Vescovo è stato apprezzato: abbiamo ammesso gli errori e dimostrato, con l’intenzione e la buona volontà, di voler cambiare».
Nei casi in cui si sapeva, quali erano le misure nei confronti dell’abusatore?
«In molti casi, lo spostamento: un vecchio metodo, nella speranza che non succedesse più. È ingenua questa cosa… si faceva per non dare scandalo e salvaguardare l’immagine della Chiesa e del prete stesso. Chi veniva dimenticato e ignorato era l’abusato».
Le vostre comunità come hanno reagito al documento?
«Le reazioni che mi sono arrivate sono positive. Ovviamente c’è preoccupazione su come affrontare il tema, a livello parrocchiale o di associazione. Per questo abbiamo formato un gruppo di supporto che sarà presente per accompagnare in discussioni, confronti e approfondimenti».
È vero che al vostro centro di ascolto arrivano casi da tutta Italia?
«Capita che arrivino telefonate da “fuori” di persone abusate all’interno della Chiesa. Noi le ascoltiamo e le invitiamo a rivolgersi al loro centro di ascolto diocesano».
Alla Chiesa italiana manca ancora tanto per “fare verità” sugli abusi?
«Ci vuole un impegno congiunto. Parlandone insieme, dentro e fuori la Chiesa, potremo fare dei passi avanti».
L’omertà è peggio dell’abuso?
«L’omertà è il secondo abuso».
Il suo invito affinché altre Diocesi intraprendano il vostro percorso?
«Basta seguire le linee guida della Cei e le indicazioni del Papa che ci ammonisce, chiedendoci di passare da una cultura di morte a una cultura di vita. Ogni Diocesi faccia il proprio compito, per il bene di tutti».
La sua fede è cambiata?
«Queste storie hanno segnato profondamente la mia fede, la mia visione dell’uomo e della sua natura. Gli abusati sono diventati come maestre e maestri per me. Ho imparato tanto grazie alla loro maturità umana, psicoaffettiva e anche cristiana».
Tra i sacerdoti accusati nel report c’era qualcuno a cui era legato?
«Ammiri un sacerdote, lo vedi anche come un esempio, e poi vieni a scoprire che ha abusato di giovani, bambine o bambini. Ha svolto magari un bel servizio pastorale, ma ha commesso gravi crimini. Serve uno sguardo sobrio sulle parti belle e su quelle brutte della persona, per considerarla nel suo insieme. Ma senza fare sconti».
Dopo aver abusato di qualcuno, un sacerdote può tornare alla normalità?
«Sono radicale su questo: quando un sacerdote commette tali atti, secondo me non è più accettabile che continui nei suoi incarichi».
Don Gottfried, conosceva qualche vittima presente nel report?
«Sì (si ferma). È agghiacciante sentire ciò che hanno vissuto e sofferto. Non potevano parlarne a casa, indifesi davanti al sacerdote che si approfittava di loro. Abbandonati e intrappolati, quasi senza via di scampo».
Come si seguono queste persone?
«La prima cosa è l’ascolto attento e compassionevole: per loro è importante sentirsi prese sul serio, credute e non accusate, come è successo, di essere state loro ad aver provocato l’abuso… Sono persone che soffrono, hanno subito un danno alla loro vita. Al di là dell’abuso, posseggono capacità, risorse e qualità che le hanno aiutate ad andare avanti, pur con molti ostacoli. Non guardiamole solo come vittime».
Cosa ha visto nei volti degli abusati?
«Ho visto Gesù Cristo (si ferma). L’ho incontrato in quelle persone, in quei volti sofferenti e arrabbiati».