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L’Editoriale – di Andrea Antonuccio

«La morte mette a nudo la nostra vita. Ci fa scoprire che i nostri atti di orgoglio, di ira e di odio erano vanità, pura vanità».

Care lettrici, cari lettori,

non c’è forse una frase più adatta di questa, pronunciata da papa Francesco nell’Udienza generale in piazza San Pietro mercoledì 18 ottobre (andate a leggerla a pagina 8 di questo numero), per cogliere il significato di questi giorni. Il 1° novembre, Ognissanti, e il 2 novembre, commemorazione dei fedeli defunti, ci dovrebbero aiutare a fare memoria di ciò che siamo, e di ciò che saremo. La morte, che «mette a nudo la nostra vita», è dunque il momento della verità. Farne memoria è il modo che la Chiesa ci indica autorevolmente per accorgerci delle nostre vanità: dei falsi miti, degli ideali farlocchi e delle «felicità di plastica» che ci costruiamo quotidianamente, come per tenere lontano il pensiero, per noi triste, della dipartita. Eppure, ci suggerisce ancora il Papa, «ognuno di noi pensi alla propria morte, e si immagini quel momento che avverrà, quando Gesù ci prenderà per mano e ci dirà: “Vieni, vieni con me, alzati”. Lì finirà la speranza e sarà la realtà, la realtà della vita». È commovente pensare che sarà così: tutte le nostre (le mie!) paure svaniranno, di fronte al Mistero che viene e ci prende per mano, per accompagnarci alla vita eterna, alla pienezza. Ma si può credere a una cosa del genere? Chi fa una reale esperienza di fede può comprendere le parole di Francesco, le sente assolutamente corrispondenti. «Per chi crede, è una porta che si spalanca completamente; per chi dubita è uno spiraglio di luce che filtra da un uscio che non si è chiuso proprio del tutto».

 

Andrea Antonuccio 

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