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(FILES) This File Picture taken on January 13, 2005 shows the main gate entering the Nazi Auschwitz death camp at sunrise. Thieves have stolen the infamous sign at the entrance of Poland's Nazi-era concentration camp, Auschwitz, "Arbeit macht frei" ("Work will set you free"), police and museum staff reported on December 18, 2009. "The inscription was stolen early this morning," museum spokesman Jaroslaw Mensfeld told AFP. AFP PHOTO/JANEK SKARZYNSKI (Photo credit should read JANEK SKARZYNSKI/AFP/Getty Images)

La forza della Memoria/1: Scoprire l’orrore di Auschwitz

Non ero mai riuscito ad andare ad Auschwitz, pur avendoci pensato e provato molte volte. Succedeva sempre qualche imprevisto. Ecco perché ho subito aderito alla proposta di far parte della delegazione del Consiglio superiore della magistratura che ha partecipato al Viaggio della Memoria, organizzato, ormai da molti anni, dal Ministero dell’istruzione nei giorni che precedono il 27 gennaio. Partenza domenica mattina presto, con la mia auto sino a Linate, poi volo su Roma, e da Roma a Cracovia. Durante il volo, il ministro dell’istruzione parla brevemente, rivolta a tutti (oltre alla delegazione del Csm, ci sono rappresentanti dell’Autorità anticorruzione e della Scuola superiore della magistratura), ma in particolare ai tanti studenti e ai loro insegnanti.  Sono le scuole che hanno partecipato al concorso per il Viaggio e lo hanno vinto, tra le quali una delegazione novarese: percepisco la comune consapevolezza, tra noi adulti, che la sfida da vincere è soprattutto con le generazioni più giovani, per via del tempo che ci allontana da quei fatti, delle tante bufale reperibili in Rete e che non è sempre facile filtrare, dei negazionisti per ignoranza o per interesse politico.  Atterriamo all’aeroporto San Giovanni Paolo II della città polacca. Nevica leggermente (il che a Cracovia, a gennaio, non è proprio raro …) e il bianco delle betulle si confonde con quello della spolverata nevosa e con il ghiaccio sui rami degli altri alberi. Ma è come se una grossa macchia scura, cioè la trepidazione per quanto andremo a vedere, si stenda su tutto quel bianco. Ci ritroviamo all’inizio di una strada, la stessa che le famiglie ebree di quella città e le altre minoranze (in particolare rom e sinti – c’è una loro delegazione con noi, ed è una novità assoluta) percorsero, all’inizio del 1941, sotto i mitra delle Ss che li ammassavano nel ghetto, appositamente mente costruito come deposito di umani. Nei due anni precedenti, vi era stata dapprima la persecuzione, poi la deportazione di buona parte dei circa 70.000 ebrei che vi vivevano.  Pochissimi segnali indicano la strada per il ghetto: rimozione? Ne parlo con il direttore dell’Istituto italiano di cultura, che mi aiuta a comprendere alcune sfumature di un rapporto difficile con la propria storia, acutizzato nell’attuale fase della vita politica polacca.  La “soluzione finale” per le circa 15000 persone rinchiuse nel ghetto era stata pensata sin dall’inizio della sua costruzione, come dimostra la forma stessa del muro esterno, per cui furono utilizzate le pietre tombali del cimitero ebraico: e infatti il ghetto fu una prigione di massa che divenne, in breve tempo, un inumano cimitero. Perché siamo qui, si chiede la nostra guida. Risponde: per fare memoria, per non dimenticare. Cioè per pensare. Dopo avere circumnavigato il ghetto (il percorso è breve, e questo dà l’idea di quanto quei poveretti fossero stati ammassati), raggiungiamo sveltamente la sinagoga Tempel, la più grande di Cracovia: parlano i rappresentanti delle Comunità ebraiche, di sinti-rom-camminanti, delle istituzioni. Durante l’occupazione nazista, la sinagoga fu destinata a stalla per i cavalli (non è un’originalità nazista, la ritroviamo in altri contesti, i simboli autenticamente religiosi fanno sempre paura ai dittatori di ogni colore). Infine, la serata, con testimonianze di ebrei deportati, e una particolare attenzione alle conseguenze delle leggi razziali e razziste di ottant’anni fa. C’è anche un video, che si interrompe quando il treno dei deportati arriva al cancello di Auschwitz. Domani, lo sappiamo, ci attenderà l’orrore assoluto, in tutta la sua nudità. (1 – continua)

Renato Balduzzi

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