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Perché la Chiesa vive dove vivono le persone

Lo scorso lunedì sono stato alla consegna del premio giornalistico dedicato a Franco Marchiaro e promosso dalla fondazione SolidAl. L’intervento di Lucia Annunziata, ospite della serata, mi ha colpito molto perché, contrariamente a quanto usano dire in molti, non definisce il giornalismo una professione ma un mestiere. Queste due parole hanno subito attivato la mia “curiosità etimologica“. Il termine professione deriva dal latino “profiteri”, che significa confessare “pubblicamente” cioè, in sostanza mostrare agli altri di essere un giornalista. Mestiere invece deriva da “ministerium”, che vuol dire “servizio”. Una differenza sostanziale che l’ospite della serata ha voluto colorare ulteriormente definendo il giornalismo “un mestiere da artigiani”. Infatti il giornalista non si limita a divulgare, ma “lavora” l’informazione.
Successivamente l’Annunziata ha parlato della notizia, paragonandola a «quei 10 centimetri di movimento di una storia». «Servono sempre tre fonti. Solitamente nell’incertezza non scrivo perché non è vero che i giornalisti devono dare la notizia a ogni costo. Altro elemento fondamentale per il giornalista è avere ben chiaro quale sarà l’effetto della notizia nel contesto di riferimento». Il giornalismo è quindi un mestiere sociale e la sua ispirazione di fondo è sostanzialmente stare in mezzo alle persone, che sono protagoniste delle notizie e quindi delle storie da raccontare. Ecco perché la Chiesa deve vivere il mondo della comunicazione, perché vive dove vivono le persone.

Enzo Governale
@cipEnzo

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