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Da Montecassino a Segni

In cammino con San Bruno

Bruno ebbe sicuramente dal papa l’approvazione della sua elezione ad abate dell’importante cenobio cassinese nel novembre del 1107. L’anno successivo alla nomina, Pasquale salì a Montecassino e colà, davanti al Capitolo, dichiarò che Bruno era degno non solo del titolo abbaziale, ma anche di succedergli al Soglio Pontificio e lo volle con sé al sinodo di Benevento durante il quale rinnovò le sanzioni contro le investiture laiche. Nel giugno del 1109 il pontefice si recò a Segni per la canonizzazione del vescovo di Anagni, Pietro di Salerno, del quale Bruno, sempre titolare di quella cattedra, aveva scritto la peroratio per la causa di beatificazione.

I rapporti della Chiesa con l’imperatore Enrico V peggioravano sempre più, il Dictatus Papae era sempre in vigore, ma sostanzialmente disatteso. Pasquale fu costretto ad attenuare la sua posizione intransigente cercando in tutti i modi di trovare un accordo con l’Imperatore. Nel 1111 chiese al sovrano tedesco di rinunciare al privilegio delle investiture vescovili offrendo in cambio la rinuncia del papato ai beni temporali. La verga poteva essere ceduta, ma non l’anello, simbolo del matrimonio mistico del vescovo con la sua Chiesa. Enrico andò per le spicce, tenne il papa in ostaggio con alcuni suoi dignitari finché Pasquale fu costretto ad accettare l’umiliante compromesso di vedere investiti i vescovi da parte dell’imperatore, prima della loro consacrazione pontificia. Il 12 aprile fu firmato l’accordo cosiddetto di Ponte Mammolo al quale seguì la solenne incoronazione imperiale in S. Pietro.

Bruno rimase profondamente deluso dal cedimento del papa e non esitò a bollare il Privilegium come Pravilegium e si rivolse ai suoi confratelli vescovi denunciando il patto scellerato che aveva in sé il germe dell’eresia. Molti appoggiarono inizialmente la tesi dell’Abate, ma desistettero per ragioni di convenienza, scusando il papa che aveva agito privato della libertà personale e, soprattutto, perché non aveva parlato ex cathedra. Pasquale non poté, o non volle, accettare questa voce di dissenso, decise di privare Bruno della cattedra abbaziale e lo rimandò alla sua diocesi con la giustificazione che non era normale mantenere contemporaneamente due incarichi di rango vescovile. I segnini accolsero con esultanza l’amatissimo pastore ritornato fra loro a tempo pieno. Il presule aveva inviato senza successo una accorata lettera di spiegazione al suo papa nella quale spiegava che il fondamento della Chiesa non è Pietro, ma la Fede in Cristo confessata da Pietro e che egli lo amava come padre e Signore, ma che doveva amare di più Colui che aveva creato entrambi.

Nel sinodo del 1116 Bruno avrebbe avuto la soddisfazione di vedere abrogato il privilegio imperiale da parte dello stesso pontefice che lo aveva concesso; alla sua saldezza teologica aveva sacrificato uno degli scranni più importanti e potenti del tempo. Assistito amorevolmente dal suo gregge, Bruno lasciò la vita terrena per quella celeste dopo 44 anni di episcopato il 18 luglio 1123. Dopo appena 58 anni fu canonizzato da papa Lucio III. nella sua cattedrale dove papa Onorio III gli consacrerà un altare nel primo centenario della morte.

Gian Piero Pagani

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