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La malattia della scuola

Il #granellodisenape di Enzo Governale

Studenti.it ha chiesto a oltre 13.000 studenti come stanno vivendo l’emergenza Covid-19. In generale gli studenti sembrano reagire piuttosto bene: non risultano allarmati e sono informati sulle modalità di contagio e prevenzione. In merito alla chiusura degli istituti scolastici, il 69,9% degli studenti ritiene adeguata la misura, mentre solo il 15,1% di loro lo considera un intervento eccessivo. Se però chiudere le scuole è stata valutata una misura necessaria, sono critici verso l’allarme che si è creato a livello mediatico intorno al coronavirus è stato eccessivo. Per il 63,6% degli studenti c’è stata infatti un eccessiva esposizione mediatica a fronte di una scarsa informazione che sarebbe arrivata loro dalle scuole il 45,9% ritiene infatti che questa non abbia fornito notizie esaustive.

Il vero malato è il sistema scolastico

Mi piacerebbe una scuola che non si ferma davanti a una chiusura straordinaria

In Italia ad ammalarsi non sono stati solo i 2.706 casi accertati fino a oggi, ma anche le circa 66.000 scuole del nostro sistema scolastico. Un sistema scolastico a mio parere fermo, almeno nella gestione, all’ultima pandemia (l’Asiatica del 1969) e che oggi ha subito un durissimo colpo con gli edifici chiusi da due settimane e l’ipotesi della chiusura fino a settembre. Ma, come abbiamo imparato in questi giorni, dai virus è possibile guarire e forse, almeno per quanto riguarda il nostro sistema scolastico, sviluppare degli anticorpi che permettano a dirigenti e insegnanti di uscire da questa situazione più forti di prima. In che modo? Provando a dare voce alle migliaia di insegnanti che da anni parlano di “didattica inclusiva”, che cercano di utilizzare i dispositivi mobili per la formazione anziché sequestrarli all’ingresso in aula, che utilizzano strumenti multimediali come la Lim, non come fosse una lavagna senza gessetto, ma come un dispositivo per la fruizione di prodotti multimediali creati per l’insegnamento. Il ministro dell’istruzione Lucia Azzolina (in foto qui sotto) ha dichiarato durante un’intervista: «Dalla scuola grande capacità di reazione. Emergenza sia spinta per rilanciare l’innovazione didattica». Una dichiarazione positiva, ma che lascia un po’ di amaro in bocca: davvero è necessaria un’emergenza di questo tipo per fare innovazione nella scuola? Il Miur ha reagito velocemente creando una pagina web dedicata alla didattica a distanza che contiene una serie di video di formazione per docenti, realizzati in collaborazione con l’Indire (Istituto nazionale documentazione, innovazione e ricerca educativa).

Personalmente una delusione, mi è parsa la semplice traslazione di una lezione normale su un nuovo media. Come aver passato una vhs su un dvd: che innovazione è? Lo stesso Miur ha creato il Piano nazionale scuola digitale, che “contribuisce a ‘catalizzare’ l’impiego di più fonti di risorse a favore dell’innovazione digitale, a partire dalle risorse dei Fondi Strutturali Europei (2014-2020) e dai fondi della Buona Scuola”. Siamo nel 2020: dove sono i frutti di questo investimento? Io stesso ho partecipato come formatore, insieme con altri due amici insegnanti, ad alcuni di questi incontri sparsi per l’Italia. Incontri interessanti, docenti vogliosi di imparare, ma la percezione di essere parte di un progetto carino ma poco considerato. Molti partecipanti infatti si lamentavano della mancanza di strumentazione, ma anche degli ostruzionismi dei dirigenti scolastici che obbligano gli insegnanti a mantenere una didattica classica per attenersi al “programma”.

Mi piacerebbe una scuola dove si parla di didattica inclusiva, di lezioni con i video e non di videolezioni, dove i ragazzi non sono costretti a stare seduti tra banchi separati, ma imparino la collaborazione e la convivenza. Mi piacerebbe una scuola che non si ferma davanti a una chiusura straordinaria, ma che preveda già nel percorso ordinario delle misure “tecnologiche ed innovative” perché queste emergenze possano essere vissute con il dovuto rispetto per le scelte delle istituzioni, senza dover bloccare il percorso formativo degli adulti di domani.

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