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La presenza viva di Gesù – Quarta parte

Testimoni della sua resurrezione:
un percorso in quattro puntate, alla scoperta delle rivelazioni di Gesù

Condividere il mistero d’amore di Dio; entrare nel suo “Regno”, ossia nel suo Cuore è l’esperienza pasquale. Ma vi sono cose che umanamente ci aspettiamo da Dio mentre egli ce ne offre altre: cosa fare?
Se la Pentecoste abilita gli apostoli alla missione, il tempo Pasquale è il fase in cui essi imparano a dimorare in Gesù e a ri-scoprire la sua presenza in loro; imparano a conoscerlo intimamente, a fare esperienza del suo amore.

Quasi a mettere in evidenza il bisogno di crescita, alcuni episodi del Vangelo mettono in evidenza l’incapacità di riconoscere Gesù risorto: la Maddalena al sepolcro lo scambia per il giardiniere; i due di Emmaus camminano con Gesù per diversi chilometri ma non lo sanno riconoscere… sarà Gesù ad aiutarli a “riscoprirlo” e a far comprendere la sua presenza; tutto ciò lo fa in particolare mentre cena insieme a loro, cioè nello spezzare il pane eucaristico e nel vivere momenti di intimità, come sul lago di Tiberiade.

Il tempo della Pasqua, il tempo dell’intimità con Gesù, è caratterizzato dalla formazione all’inabitazione Trinitaria, vivibile proprio a partire dal mistero eucaristico. Infatti è in questo tempo che Gesù “insegna” ai suoi discepoli a spezzare il pane come lui lo aveva spezzato nell’ultima cena. Nel mistero dell’Eucarestia si realizza dunque in modo straordinario, la possibilità dell’inabitazione; essa è la porta di accesso, l’ingresso al mistero del vivere in Cristo.

Gesù impiega quaranta giorni per introdurre il nuovo Israele nella “terra promessa” che è il Regno di Dio; e se i quarant’anni nel deserto furono anche il tempo della purificazione della fede, il tempo Pasquale, è tempo di formazione e di purificazione per i suoi discepoli e per Chiesa intera.

Ci ricorda il libro degli Atti che gli apostoli vorrebbero sapere se è giunto il tempo di restaurare il regno d’Israele: «… Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni…”». (At 1, 6-7). Di fronte alle domande degli apostoli, Gesù risponde purificando le aspettative, perché queste non costituiscano un ostacolo alla comprensione del mistero. Anche i due di Emmaus se ne tornano a casa delusi perché le loro aspettative sono state disattese: «Noi speravamo fosse lui a liberare Israele…» (Lc 24, 21). Le aspettative degli Apostoli – e le nostre aspettative – rappresentano un ostacolo per poter entrare nell’intimità della vita Trinitaria.

Gesù insegna ai suoi a spogliarsi da tutto ciò che è aspettativa umana, per lasciarsi guidare con docilità assoluta dallo Spirito Santo: egli “guiderà alla verità tutta intera”. Esiste un percorso di crescita nella fede; se osserviamo attentamente i Vangeli e gli Atti notiamo che il tempo pasquale è costellato da diverse effusioni dello Spirito Santo, come se Gesù a ondate successive arrivasse a lambire il cuore della Chiesa facendole vivere un’esperienza feconda e portandole ogni volta qualcosa di nuovo circa la comprensione del Regno.

Passando in rassegna questi momenti possiamo vedere il dono dello Spirito al momento della morte di Gesù: «…e chinato il capo emise lo spirito» (Gv 19,30). Vi è un’effusione dello Spirito per entrare nel mistero della Misericordia di Dio e partecipare al ministero del perdono: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». (Gv 20, 22-23). In Luca, nell’episodio dei due di Emmaus, vi è un’effusione di Spirito per comprendere i misteri del Regno attraverso la Scrittura: «Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture…». (Lc 24, 45).

Tutte queste effusioni di Spirito hanno lo scopo di far vivere al discepolo il dono della comunione con Dio per poter comprendere il suo Cuore ardente d’amore per gli uomini e quindi preparali alla missione. Ecco allora, come sigillo finale di un percorso, la consacrazione e il mandato missionario nell’effusione di Pentecoste: «Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi». (At 2,4); questa effusione ha come risultato quello di abilitare la Chiesa ad annunciare con la parola e la vita ciò che hanno vissuto in prima persona.

San Giovanni dice in modo molto efficace nella sua prima lettera: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1, 1-3).

Udire, vedere, toccare, contemplare… verbi che rivelano un’esperienza di incontro reale con Dio e per questo fondamento della missione. Missione non significa conquistare qualcuno, convincerlo di una dottrina, ma renderlo partecipe dell’intimità di Dio perché a sua volta possa “sentire, vedere, toccare, contemplare” Dio, perché il mistero della comunione con Dio – che un giorno vivremo per sempre – possa essere già ora un dono per il mondo. A questo riguardo, il battesimo (parola greca che significa “immergere”) non è forse “inabissamento” nel mistero d’amore Padre, nel Figlio e nello Spirito?

Mentre il Signore dunque ci prepara alla testimonianza, come Chiesa abbiamo bisogno di ripensare la nostra presenza nel mondo: forse abbiamo perso di vista la dimensione missionaria della nostra identità cristiana che nasce dall’intimità con il cuore di Cristo; probabilmente l’abbiamo lasciata da parte anche a motivo della cultura in cui viviamo, in cui prevale il relativismo. Quale missione è possibile se non ci lasciamo incontrare dal Risorto? Quale missione se non entriamo nel mistero del Cuore di Gesù? Quale missione se non entriamo in una relazione profonda con il mistero Trinitario?

Leggiamo nel Vangelo di Giovanni, proprio in quella sezione che abbiamo citato, queste parole: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre»(Gv 14, 31). Dovremmo avvertire anche noi questa necessità: bisogna che il mondo sappia che amiamo il Padre! È l’urgenza di far sapere al mondo che amiamo Dio e che Dio ci ama! Una fede vissuta soltanto nella sfera del privato, oserei dire su un piano intimistico, non serve né a noi né al mondo, che già tenta con tutte le sue forze di relegare la dimensione religiosa nella sfera del privato.

Nell’omelia del 16 maggio scorso papa Francesco ha delineato in modo efficace la mentalità del mondo di fronte alla quale siamo chiamati a rendere testimonianza; cito: «La mondanità è una cultura dell’effimero, una cultura dell’apparire, del maquillage, una cultura “dell’oggi sì domani no, domani sì e oggi no”. Una cultura che non conosce fedeltà, perché cambia secondo le circostanze, negozia tutto (…) È una cultura dell’usa e getta, secondo quello che convenga. È una cultura senza fedeltà, non ha delle radici (…) la mondanità spirituale, è un’ermeneutica di vita, è un modo di vivere; anche un modo di vivere il cristianesimo. E per sopravvivere davanti alla predicazione del Vangelo, odia, uccide (…) C’è una cosa che la mondanità non tollera: lo scandalo della Croce. Non lo tollera. E l’unica medicina contro lo spirito della mondanità è Cristo morto e risorto per noi, scandalo e stoltezza». (cfr 1Cor 1,23).

Entrare nel mistero d’amore del Cristo crocifisso e Risorto, sempre pronto ad accoglierci nel suo Cuore, a farci entrare nel mistero della comunione Trinitaria per mezzo dello Spirito è la medicina contro il potere del Principe di questo mondo.

A cura di padre Giorgio Noè

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