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Don Bosco, Santo della Gioia/2

Intervista don Corrado Ribero

Don Corrado Ribero dallo scorso settembre è viceparroco della parrocchia San Giuseppe Artigiano. Ma lo spirito salesiano è con lui sin dai primi anni di vita. Non a caso, 15 anni fa, è stato ordinato sacerdote proprio nel tempio di Colle Don Bosco. L’emergenza sanitaria ha colpito direttamente la comunità salesiana del Cristo che ha vissuto in isolamento per diverse settimane. Ma anche in quei giorni così difficili, il conforto dello sguardo del Santo di Torino non è mai venuto a meno.

Don Corrado, come ha vissuto e che cosa ha imparato da questo periodo Covid?
«Ho vissuto questa “esperienza” in prima persona, dovendo sottopormi all’isolamento forzato. Ringraziando il Signore non ho avuto sintomi, ma comunque rimanere isolato non è stato bello. Ho pensato alle molte persone che hanno dovuto affrontare questo virus con i sintomi tipici che lo hanno contraddistinto e ho pregato per loro. Se devo dire cosa ho imparato, mi rifaccio alle parole dell’apostolo Paolo quando ai cristiani di Corinto scriveva: “Infatti come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo abbonda anche la nostra consolazione” (2Cor 1,5). Oppure quando scriveva ai Colossesi: “… completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). In chiave cristiana la sofferenza unita a quella di Cristo ha sempre un valore salvifico pur misteriosamente. Sicuramente il Covid ha ricordato a molti che non siamo diventati improvvisamente immortali, solo perché abbiamo sostituito la fede con lo scientismo, ovvero il modo sbagliato di intendere la scienza. Credo che abbia avuto anche un risvolto positivo tutta questa vicenda, ci ha fatto tornare all’essenziale».

Chi è don Bosco per lei?
«Oltre a essere un Santo e una formidabile persona che con il suo “sistema preventivo” ha illuminato la mente di moltissimi educatori in questi ultimi 150 anni, don Bosco per me è anzitutto il modo più bello di vivere il Vangelo di Gesù. È il suo amore disinteressato per qualsiasi ragazzo o giovane che sia, che mi ha sempre colpito. La sua frase più bella? “Voglio vedervi felici nel tempo e nell’eternità”. Il miglior augurio che ciascuno di noi possa sentirsi dire da chiunque».

Come avete affrontato la “sfida” educativa in quest’anno di pandemia?
«Personalmente stando il più possibile con i giovani. Fino ad agosto ero a Torino a “gestire” un collegio universitario. Ero a servizio di quasi 100 studenti provenienti da tutta Italia che a causa delle norme restrittive non hanno potuto far rientro alla propria famiglia se non con l’estate inoltrata. Da settembre mi trovo al Centro don Bosco qui di Alessandria. Certo, nei limiti del possibile abbiamo cercato di portare avanti alcune attività, finché è stato possibile. Diversamente i mezzi informatici hanno supplito alla distanza che si è poi creata con i nostri destinatari. La preghiera è sempre stato il mezzo più efficace per sentirci uniti, in attesa che tutto possa tornare alla normalità».

Come vede il 2021 dal punto di vista educativo?
«La sfera di cristallo non ce l’ho, il futuro è imprevedibile per tutti. Credo che, comunque, la cosa più importante da fare sarà far riapprezzare la bellezza delle relazioni tra le persone, che se vissute nella verità e con profondità fanno gustare la cosa più bella della vita: lo stare insieme!».

Don Bosco mandò i suoi ragazzi dell’oratorio di Valdocco a curare i malati di colera. Lei da educatore, oggi, farebbe la stessa cosa?
«I tempi sono cambiati. Ai tempi di don Bosco le autorità preposte non imponevano tutte le regole a cui oggi siamo chiamati a sottoporci per il nostro bene e di quello altrui nella salvaguardia del bene più importante che abbiamo: la vita e la salute fisica, ma anche spirituale aggiungerei io, oggi molto dimenticata. Don Bosco era un santo e la sua enorme fede lo spingeva a mandare i suoi ragazzi tra i malati di colera, ma non allo sbaraglio. Chiedeva loro di essere in grazia di Dio confidando nell’aiuto di Maria Ausiliatrice portando al collo una sua medaglia. Forse, oggi, i ragazzi rimarrebbero un po’ perplessi rispetto a queste motivazioni, ma non avrei paura comunque di chiedere di vivere ugualmente una vita sacramentale intensa, fatta di confessione e comunione, e poi sull’aiuto di Maria non si discute. Don Bosco diceva: “Ha fatto tutto Lei”. E quanto è vera questa cosa! Secondo me, lo dico sottovoce, è il segreto del “successo” di don Bosco: chiedi aiuto a Maria e vedrai miracoli. Io, nel mio piccolo li ho visti. Buona festa di don Bosco a tutti!».

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