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Da sinistra: don Claudio Doglio, don Mario Antonelli e Giuseppe De Rita

L’assenza dei padri, la presenza del Padre

Martedì di Quaresima 2021

Un biblista, un teologo, un sociologo e un costituzionalista. Sono loro i quattro protagonisti che daranno voce e contenuti (anche stavolta online, come gli ultimi Martedì d’Avvento) ai Martedì di Quaresima promossi dalla Diocesi di Alessandria, in collaborazione con il Centro di cultura dell’Università Cattolica e il Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), Gruppo di Alessandria. Il primo appuntamento è fissato per il 9 marzo, alle ore 21, con don Claudio Doglio, parroco della collegiata di Sant’Ambrogio a Varazze (SV) e docente di esegesi biblica alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Martedì 16 toccherà invece a don Mario Antonelli, docente di teologia fondamentale e vicario episcopale per l’educazione della Diocesi di Milano; e a chiudere il ciclo, il 23 marzo, sarà Giuseppe De Rita, presidente del Censis, che dialogherà con Renato Balduzzi (in foto qui sotto).

Professor Balduzzi, partiamo dal titolo di questi Martedì: “L’assenza dei padri, la presenza del Padre”.

«Il titolo è “spiegato” dal sottotitolo: “Tre web-incontri alla luce della Patris corde di papa Francesco”. Questa lettera di Francesco recupera tutto ciò che i suoi predecessori hanno sottolineato della figura di san Giuseppe. La Patris corde delinea le coordinate di un padre con la “p” minuscola che rimanda a un Padre con la “P” maiuscola. Per Francesco, Giuseppe è padre nella tenerezza, nell’obbedienza, nell’accoglienza, nel coraggio creativo, nel lavoro e nell’ombra: un identikit “paterno” molto diverso da quello a cui siamo abituati».

Cosa possiamo imparare dalla “Patris corde”?

«È un invito a considerare che cosa significa “paternità”, e il suo rapporto con l’autorità. Con Giuseppe noi abbiamo davanti una figura che ci restituisce una nozione di padre non come un padre-padrone che possiede e comanda, e che confonde autorità con autoritarismo, ma come un padre che si caratterizza per il dono di sé come servizio. C’è un passaggio bellissimo in cui il Papa dice: “La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia”».

La differenza tra sacrificio e dono di sé è una questione molto “quaresimale”…

«Non è un caso se l’abbiamo messa a tema. Pur riconoscendo la giusta preoccupazione di sottolineare il valore della sofferenza come domanda, invocazione e apertura all’Assoluto, qualche volta corriamo il rischio di confondere frustrazione e fiducia. La fiducia permette il vero servizio come dono di sé, non è un sacrificio fine a sé stesso: non è la sofferenza di chi vuole stare male e si contempla nel proprio soffrire, ma è la trascendenza di sé stesso, il dono di sé come servizio, qualunque sia la propria vocazione. Il Papa nella Patris corde, prendendo come modello la figura di Giuseppe, lo spiega: “Lì dove una vocazione, matrimoniale, celibataria o verginale, non giunge alla maturazione del dono di sé fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione”».

Che cosa può imparare da san Giuseppe un padre di oggi?

«Francesco ci dice che si vive pienamente la paternità quando si è inutili, cioè quando i figli diventano autonomi e camminano da soli. Ci dobbiamo porre nella situazione di Giuseppe: quel Bambino non è suo ma è affidato alle sue cure. Lui aiuta Gesù a diventare adulto senza pretendere di vivere la sua vita. Ogni figlio è un mistero… La figura di Giuseppe, che nei confronti di Gesù è l’ombra sulla terra del Padre Celeste, diventa così un paradigma per tutti i genitori».

I primi due incontri, di carattere biblico e teologico, quale funzione svolgono?

«Quella di introdurci alla figura del Padre, nella rilettura che il Nuovo Testamento ne ha fatto rispetto all’Antico, e sarà il compito di don Doglio. E quella di aiutarci a cogliere il significato del nostro essere figli, alla luce della figura del Figlio che ci rende, appunto, fratelli tutti, in quanto collegati a quell’eterno generare di cui ci parlerà don Antonelli».

L’ultimo incontro, il dialogo tra Giuseppe De Rita e lei, sposta il tiro sul campo sociale.

«Sociale e anche politico, nel senso più ampio e generale della parola. Il recupero della figura del Padre, dopo la sua “evaporazione” (secondo la formula di Lacan), passa attraverso una diversa concezione dell’autorità, da intendere, davvero e non come frase fatta, nel senso di servizio, dono di sé, secondo la lettura della figura di Giuseppe che papa Francesco ci ha proposto».

Andrea Antonuccio

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