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Report Caritas: i poveri aumentano

Intervista a Giampaolo Mortara, direttore della Caritas diocesana

Su questo numero di Voce pubblichiamo il Report Caritas 2021 della diocesi di Alessandria. Abbiamo chiesto al direttore Giampaolo Mortara (nel tondo) di aiutarci a capire i “numeri” della carità alessandrina.

Giampaolo, cosa c’è in questo Report?
«Innanzitutto va detto che è uno spaccato della nostra realtà quotidiana in Caritas. Di certo non abbiamo la pretesa di avere in mano dei dati che rappresentano la fotografia reale del territorio, ce ne servirebbero molti altri. Ma sono comunque dati importanti, dietro ai quali si intravedono i volti delle persone che incontriamo, che accompagniamo, che aiutiamo».

Domanda secca (e forse troppo “semplice”): la situazione è migliorata, rispetto al Report precedente?
«Dal 2020 al 2021 la situazione non è migliorata. Questo lo dicono i dati, che registrano una crescita di coloro che chiedono aiuto. E possiamo già anticipare alcuni numeri del 2022: c’è stato un incremento del 9 percento delle persone che si sono rivolte alla Caritas diocesana. Tenendo presente che la media nazionale delle Caritas si attesta al 7 percento».

Che cosa sta succedendo?
«C’è un trend di crescita dei bisogni che continua anche dopo la pandemia».

Tu speravi in un miglioramento?
«All’inizio dello scorso anno mi auguravo proprio di sì, ma gli eventi tragici della guerra hanno rimesso tutto in discussione. I rincari dell’energia e dei beni materiali hanno portato un aggravamento per tante famiglie che già erano in difficoltà. Su questo ci sono due aspetti da considerare. Il primo è costituito dalle famiglie che da lungo tempo vivono una sorta di “povertà ereditaria”: nasci povero e muori povero, ci vogliono in media cinque generazioni per fare il “salto” di classe sociale. Un’enormità… Il secondo punto è che nei primi 11 mesi del 2022 solo nel nostro centro d’ascolto sono state più di 380 le persone che si sono presentate per la prima volta».

Sono numeri impressionanti. Di che povertà si tratta?
«La risposta è che si tratta di una povertà molto complessa. I dati ci parlano, nella maggioranza dei casi, di problematiche dovute a problemi economici o alla disoccupazione. Però all’interno di questi numeri spesso troviamo situazioni familiari e personali di altro tipo, disagi che non sono riconducibili a questioni economiche. Anzi, sono essi stessi la causa di questi problemi. Le fragilità sono tante, anche legate a dipendenze che spesso non riesci a intercettare o che non vengono esplicitate. Per fare un esempio: la dipendenza da alcol magari si vede, ma la ludopatia no. E c’è anche un terzo problema…».

Quale?
«É il problema abitativo. C’è chi non può più permettersi di mantenere una casa, che tra bollette e spese varie rischia di diventare un lusso. E purtroppo c’è anche chi una casa proprio non ce l’ha. I numeri del Report ci dicono che le strutture di accoglienza della Caritas, sia per le donne sia per gli uomini, sono piene. E rischiano di esserlo sempre di più».

Dunque la povertà non è stata abolita dal reddito di cittadinanza…
«Eh, direi proprio di no. Il reddito di cittadinanza è uno strumento che sta portando risorse a tante persone. Quelli che aiutiamo spesso ce l’hanno, però non ce la fanno lo stesso. Il reddito di cittadinanza sarebbe dovuto essere un sostegno economico, ma nello stesso tempo anche un accompagnamento al lavoro. Ecco, quest’ultimo aspetto non è proprio decollato».

Sembra che il governo Meloni voglia rivederlo, restringendo il numero degli aventi diritto. Tu che ne pensi?
«Qualcosa da rivedere evidentemente c’è, perché possa essere veramente efficace e di aiuto per chi ha desiderio di fare un percorso di inclusione e di sviluppo della propria situazione. Ma non dimentichiamoci di chi fa veramente più fatica degli altri: se togliamo anche questo sostegno, allora è proprio finita».

Prima di chiudere la nostra intervista, e rimandare i lettori al Paginone, ti faccio una domanda molto personale: ma tu non piangi mai di fronte a tutta questa povertà? Nel tuo agire, non ti sembra a volte di “svuotare il mare con un cucchiaio”?
«Se guardo l’insieme e leggo i numeri, sì, mi viene da piangere. Ma nel singolo rapporto umano è diverso. Perché vedo che con la persona con cui ho a che fare, e che magari sto accompagnando verso qualcosa di buono, la prospettiva cambia. E mi sento un po’ meno inutile».

Andrea Antonuccio 

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