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Il catechista? Colui che ha il riflesso di Cristo negli occhi

Chiesa locale

La parrocchia San Giuseppe Artigiano, in collaborazione con l’Ufficio catechistico diocesano di Alessandria, propone un percorso di formazione per catechisti, genitori e animatori. A condurlo sarà don Valter Maria Rossi, salesiano, direttore di “Dossier catechista”. La sede degli incontri (il 9, 16, 23 e 30 maggio, tutti alle ore 21) è il Centro don Bosco, in corso Acqui 398 ad Alessandria (per informazioni e iscrizioni: parroco.alessandria@salesianipiemonte.it; cell. 3387259651).

Abbiamo chiesto al professor Leonardo Macrobio, neo direttore dell’Ufficio Catechistico della nostra Diocesi, di approfondire con noi il tema della formazione, ma soprattutto della missione, del catechista. In una società che di fatto nega l’incisività del fatto cristiano sulla vita di tutti i giorni, rendendo sempre più difficile quella educazione alla fede che ormai è praticamente scomparsa anche dalle famiglie.

Macrobio, partiamo dalle basi: che cosa fa l’Ufficio catechistico della Diocesi?

«Mi verrebbe da rispondere che lo sto scoprendo anch’io… e in un certo senso è vero. La riforma della nostra Diocesi ha costretto un po’ tutti, compresi gli Uffici e i Servizi, a ripensarsi, a riscoprire il proprio motivo di essere a servizio della Chiesa che è in Alessandria. L’Ufficio catechistico, almeno in questo momento storico, ha il compito di scoprire e far riscoprire la bellezza dell’avere incontrato Cristo nella Sua Chiesa. Cosa che forse diamo un po’ per scontata, ma che in fin dei conti è il motore della missione e, quindi, della catechesi. Quando mi accade qualcosa di bello, il primo impeto è di andarlo a raccontare a tutti: probabilmente, io per primo, dobbiamo riscoprire la bellezza dell’essere Chiesa, così da trovare le forze per annunciare Cristo al mondo».

In quest’ottica, come si inquadra il prossimo ciclo di incontri al Centro don Bosco?

«Il Vescovo ci sta chiedendo di rimettere al centro della catechesi (ma, più in generale, di tutta l’azione pastorale) l’esperienza ecclesiale. A più riprese, nella sua ultima Lettera pastorale, indica che il catechista deve essere espressione di una comunità che annuncia, una comunità viva che si prende la responsabilità di educare e crescere nella fede della Chiesa i suoi figli. Questo ciclo di incontri, che inizia il 9 maggio, vorrebbe creare l’occasione perché, partendo dal mandato di catechisti, si possa mettere più in luce cosa sia essere cristiani nella società di oggi».

Nella società di oggi di che cosa ha veramente bisogno un catechista per fare bene il suo “mestiere”?

«Per rispondere rubo le parole ad un professore della bergamasca, Franco Nembrini. Immaginate delle persone che stanno attraversando il deserto. Sono stanche, accaldate, assetate. A un certo punto uno del gruppo sale su una duna altissima e, arrivato in cima, urla: “C’è un fiume da questa parte! Lo vedo! Venite su!”. Perché gli altri facciano la fatica di scavallare la duna, perché si fidino di quello che sta loro dicendo il loro compagno, devono vedere un riflesso di quel fiume nei suoi occhi… Il catechista, per quanto ne posso capire, è uno che ha il riflesso di Cristo negli occhi e quindi può invitare gli altri a fare la fatica di un lavoro. È una persona, insomma, che mostra la somma convenienza dell’essere cristiani».

Il punto 120 della “Evangelii Gaudium” recita così: «In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione, dal momento che, se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni». Perché allora incaponirsi con la formazione, allora? Non basta aver incontrato Gesù per annunciarlo?

«Perché sono stati scritti così tanti libri sull’amore? Non è sufficiente naufragare in un paio d’occhi? Perché l’innamoramento diventi amore è necessario che assuma una forma appropriata. Analogamente è necessario, perché l’incontro con Cristo diventi missione, che assuma anch’esso una forma appropriata. Per questo si chiamano incontri di formazione: quell’intuizione originaria viene portata a maturità. O almeno viene prospettato un cammino. Il problema, quindi, non è avere nuove cose da dire, ma avere un modo, un linguaggio, con cui raccontare le cose grandi che Cristo ha fatto e continua a fare nella vita di ogni cristiano e dentro la Chiesa».

Andrea Antonuccio

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