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A Lourdes con la Diocesi, un pellegrinaggio di gioia

Intervista ad Andrea Serra, presidente dell’Oftal di Alessandria

«Mi colpisce sempre vedere persone che si riuniscono mesi e mesi prima per organizzare il pellegrinaggio: dalle questioni tecniche alle spillette da regalare ai fedeli, fino agli addobbi per la struttura e le camere dove sono accolti gli ammalati. Lourdes è un appuntamento che continua tutto l’anno». Andrea Serra (nella foto qui sotto), presidente della sezione dell’Oftal di Alessandria, ci racconta il prossimo pellegrinaggio diocesano a Lourdes, che si terrà dal 26 al 30 giugno, a cui parteciperanno in 200, tra pellegrini e ammalati. Con loro, anche monsignor Guido Gallese, Vescovo di Alessandria.

Andrea, manca poco al pellegrinaggio.

«Questa volta c’è stato più interesse rispetto agli ultimi anni: le persone si stanno “abituando” di nuovo, dopo le difficoltà del Covid. Il pellegrinaggio è cambiato, a partire dai malati…».

Cioè?

«Prima avevamo un grande numero di persone che potevamo chiamare, passatemi il termine, “malati evidenti”: quelli in carrozzina, per esempio. Adesso invece ci sono persone con disturbi che non conosciamo e, forse, non ci serve nemmeno conoscere. Dalle malattie psicologiche alla depressione, fino ai malati oncologici: persone in cui la malattia non è visibile e quindi vivono il pellegrinaggio con apparente normalità. Poi ci sono anche coloro che vengono a Lourdes con le malattie dell’anima. Nessuno potrà mai sapere perché queste persone si sobbarcano un viaggio, che adesso è più breve, in pullman o in aereo, ma prima era di 24 ore in treno. Ognuno dà una risposta diversa: chi è già stato a Lourdes sentirà quel richiamo sempre forte, e chi viene per la prima volta è perché Qualcuno lo ha chiamato».

Ci saranno anche i più giovani?

«Sì, avremo una quindicina di ragazzi tra i 12 e i 16 anni: con la “Green car” faranno un pellegrinaggio “parallelo”, vivranno la preghiera ma anche la condivisione e l’aiuto verso gli altri e verso se stessi».

Perché venire a Lourdes con l’Oftal?

«Perché il pellegrinaggio è la condivisione con persone che una parrocchia, per esempio, non può portare perché non è attrezzata. Noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di avere una preparazione pensando a quello che andiamo a fare. Infatti, quest’anno, ci saranno persone che accompagneranno i fedeli “preparandoli” a vivere i diversi momenti del pellegrinaggio».

Cosa diresti a chi viene a Lourdes per la prima volta?

«Di provare a confrontarsi con se stesso, in silenzio, davanti alla Grotta. Guardando le persone che sono con te, e quel luogo che hai attorno».

Che cosa significa per te andare in pellegrinaggio?

«Vuol dire rispondere a quello che ha chiesto la Madonna: “Venite qui in processione”».

E non senti, ogni anno, un po’ di “stanchezza” nel farlo?

«È un peso che condivido con gli altri. E poi a Lourdes non ci si stanca mai. L’importante è trovare sempre uno stimolo nuovo: la cosa più brutta è che possa diventare una routine. Ma quando sei lì, interviene Qualcuno che fa scattare una scintilla che rende il pellegrinaggio ancora più vivo».

Come vedi cambiare le persone che fanno servizio a Lourdes?

«È una crescita costante: ci sono persone che crescono più velocemente, altre in modo più lento. Quando cominci a fare servizio lo fai per aiutare le persone. Poi ti fai delle domande, non ti basta soltanto aiutare gli altri. Che è importante, certo… ma lì approfondisci te stesso e il mistero di Lourdes».

Cosa c’è di speciale da scoprire?

«Non lo so… Si dice che Lourdes è il luogo in cui il Paradiso è più vicino alla terra. E questo mi basta (sorride)».

In questi mesi abbiamo sentito notizie di Madonnine che “piangono” e presunti miracoli legati a questi eventi. Tu cosa ne pensi?

«Da una parte non posso dire nulla sui fenomeni in sé, perché non li conosco. Dall’altra parte, credo che rispondano a un bisogno di trascendenza. Perché non c’è più sicurezza, non si sa più su chi contare».

Anche a Lourdes è così?

«Vedo tanta gente che prega davanti alla Grotta, in certi casi, anche con atteggiamenti un po’ plateali. Però ognuno è libero di pregare come crede, non posso essere io a giudicare. Sulle guarigioni miracolose e inspiegabili, a Lourdes è stato creato il “Bureau des Constatations Médicales”, di cui avete parlato anche voi di Voce diverse volte: è formato da un gruppo di medici, credenti e agnostici. Finora sono stati riconosciuti 70 casi di vero miracolo operato dalla Madonna».

È cambiato il Santuario in questi anni?

«No, lo spirito è rimasto lo stesso. Molti si stupiscono della quantità dei negozi fuori, ma l’importante è che non venga toccato l’interno, il fulcro del Santuario».

Cosa hai imparato dal dolore?

«Che si può convivere con il dolore, in diversi modi. Cercando di condividerlo con altri per alleviarlo, con le parole e i gesti. Altrimenti il dolore fisico diventa pesante, se non è condiviso. Vorrei aggiungere una cosa, però…».

Certo.

«Il pellegrinaggio di Lourdes non è fatto di dolore, ma di gioia. Anche perché molte volte le persone che vivono con un dolore sono più gioiose di noi».

Quando torni a casa da Lourdes, come ti senti?

«Ci metto un po’ di tempo a rientrare nella vita normale. Là, per esempio, quando incontri qualcuno per strada ti sorride e ti saluta. È una banalità, ma impressiona conoscere una persona magari per dieci minuti, rivederla anni dopo a Lourdes e ricordarsi insieme di essersi incontrati. Qui sarebbe impensabile (sorride)».

Come è possibile vivere quel clima nella nostra quotidianità?

«Io cerco di riportarlo nella vita di tutti i giorni, ma non è semplice. Per questo con l’Oftal continuiamo a ritrovarci durante l’anno: per rivivere quei momenti, anche se non siamo fisicamente vicino alla Grotta».

Ti sei mai detto: «Voglio stare qui»?

«Oh, tante volte (sorride). Però ho paura che, nella ripetitività del servizio, diventi una cosa meccanica, scontata, in cui ti senti bravo. E così si rischia che svanisca il senso profondo di ciò che si fa».

L’esperienza di Lourdes aiuta anche il tuo matrimonio?

«Certo! Intanto, io e mia moglie ci siamo fatti la promessa di matrimonio proprio davanti alla Grotta. L’Oftal fa parte della nostra vita, ed è una fortuna condividere quest’esperienza con lei. Negli anni abbiamo riscoperto anche il valore del servizio. Quando avevamo i figli piccoli non riuscivano a fare insieme lo “stage” (una settimana di servizio per il Santuario, ndr), perché almeno uno di noi doveva rimanere a casa con i bimbi. Dopo qualche anno, con i figli più grandi, siamo riusciti a fare lo stage di nuovo insieme: è stata un’esperienza unica. E quest’anno, in pellegrinaggio, viene anche mio nipote di 2 anni (sorride)».

Cosa chiedi alla Madonna?

«Chiedo che la gente possa pregare con grande pace. E riesca a trovare quello che cerca».

Un aneddoto che porti nel cuore?

«In generale, mi colpisce sempre quando gli ammalati pregano per gli altri e non per se stessi. E poi ricordo un servizio in piscina: arriva una madre con il suo bambino, erano italiani. Il piccolo era molto, molto malato, e nonostante tutto questa mamma ringraziava la Madonna perché ogni giorno in più era un giorno di vita guadagnato per il suo bambino».

Alessandro Venticinque

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