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La vera pace che attendiamo

La testimonianza di padre Ibrahim Alsabagh ad Aleppo

Il mondo è da sempre segnato dalla guerra. Non solo la guerra tra popoli e nazioni, ma anche la divisione che si insinua nei rapporti più quotidiani: in famiglia, sul lavoro e nelle amicizie, anche le più care. Per non parlare della difficoltà, che abbiamo tutti, ad accogliere in pace chi è diverso da noi: il profugo, il povero o il bisognoso.

Come ha detto il nostro Vescovo nell’omelia del 1° gennaio di quest’anno in Cattedrale, in occasione della Giornata mondiale della Pace, “la pace nasce dall’amore. Non la costruiamo noi, ma è un dono di Dio che però chiede la nostra collaborazione. Perché la pace sgorga dall’amore, e l’amore è un dono unilaterale e gratuito. Dio che ci ha amato ha donato a noi la pace, e noi doniamo la pace ai fratelli quando li amiamo gratuitamente. E’ una questione complessa, che si rende semplice in una comunità”.

Già, la comunità. Nel suo libro “Un istante prima dell’alba” padre Ibrahim Alsabagh, parroco di Aleppo in Siria, racconta un episodio molto significativo. Domenica 25 ottobre 2015 la cupola della sua Chiesa viene colpita da una bombola di gas delle truppe jihadiste, lanciata da una base missilistica allo scopo di provocare una strage. In quel momento, infatti, si stava celebrando la Messa vespertina, la più affollata della domenica. Solo per miracolo la cupola, pur gravemente danneggiata, non crolla sui fedeli. Nessun morto, solo una ventina di feriti lievi. “La domenica seguente, 1 novembre, festa di tutti i santi” scrive padre Ibrahim “con la catechista ci chiedevamo se i bambini avrebbero avuto il coraggio di venire: sono arrivati in centosessanta. In più, il numero delle persone che ora partecipano alla messa aumenta di giorno in giorno”. Una comunità che cresce, malgrado le bombe.

“Alla messa dei bambini dell’1 novembre” continua padre Ibrahim “un grosso frammento della bombola di gas esplosa […] è stato addobbato, ricoperto di fiori e trasformato in una delle offerte da portare all’altare”. Un simbolo di odio si trasforma in un segno di riconciliazione e gratitudine. “Ci lanciano l’odio e noi offriamo in cambio l’amore” conclude padre Ibrahim “attraverso quella carità che si manifesta nel perdono e nella preghiera per la loro conversione”. Non è forse questa la vera pace che tutti attendiamo?

Andrea Antonuccio

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