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Mostrare la gioia dell’essere cristiani

Intervista a don Vittorio Gatti

«Il catechista svolge all’interno della Chiesa un servizio per tutta la comunità»

«Nei primi secoli la catechesi era soprattutto mistagogica, cioè approfondiva il Mistero che il cristiano, e in particolare il neofita, aveva vissuto nella celebrazione. Il tempo precedente non era esattamente una catechesi come approfondimento dottrinale, quanto un accompagnamento all’incontro con il Cristo vivente e alla conversione di vita». Inizia così la nostra chiacchierata con don Vittorio Gatti, Vicario generale e responsabile del Servizio per la Catechesi della nostra diocesi.

Don Vittorio, sabato 9 novembre alle 21 in cattedrale i catechisti riceveranno il mandato da parte del vescovo. Che cos’è questo “mandato”, e a che cosa serve?
«Il mandato rende evidente quanto nel ministero di catechista è implicito, ovvero il fatto di essere inseriti in un organismo vivente che è la Chiesa, e svolgere all’interno di essa un servizio per tutta la comunità. Quindi ogni catechista non agisce per sua iniziativa personale, e non è da solo: inserito nella propria parrocchia, è chiamato a interagire con gli altri catechisti in un progetto comune, in comunione e seguendo le indicazioni del parroco».

Ma che cosa si intende con “servizio alla comunità”? Il catechismo non è solo per i bambini?
«Questa domanda deriva da un mondo cristiano, da una società cristiana che molti di noi hanno vissuto da piccoli, e che dura da secoli, non da decenni. Per intenderci, una società in cui la fede era trasmessa un po’ ovunque: nelle famiglie, nella scuola e nelle istituzioni. Potremmo dire che si diventava cristiani per osmosi. Il catechismo, in questo contesto serviva per insegnare la grammatica di una lingua che si parlava già».

Oggi invece la nostra è una lingua “morta”?
«No, non è una lingua morta, ma non è più così diffusa. E soprattutto si trova in mezzo a tante altre lingue parlate… per questo il catechismo non può più essere inteso come una semplice istruzione ai bambini, ma deve collocarsi nella vita della comunità, dove sono coinvolti i genitori certamente, ma anche i giovani e gli altri adulti: insomma, tutti coloro che si sentono partecipi della comunità stessa».

In diocesi però si ha l’impressione che ci siano modalità differenti di proporre il catechismo. Quali sono, se ci sono, i punti in comune tra le varie parrocchie?
«Penso che ci sia un aspetto che tutti ormai abbiano recepito, ovvero il fatto che non ci si può più rivolgere esclusivamente ai bambini, come abbiamo appena detto. Questo certamente è un punto comune e condiviso. Una direzione che si sta prendendo con sempre maggiore consapevolezza è il fatto che il tempo del catechismo è un tempo di “primo annuncio”: non solo per i piccoli, ma anche per le loro famiglie. In questo leggo l’attuazione di quanto papa Francesco ci chiede nell’Evangelii Gaudium, quando sottolinea la centralità del kerigma come annuncio fondamentale che deve risuonare in ogni opera evangelizzatrice. Aggiungo: per cercare di avere una certa uniformità nei cammini catechistici, il vescovo ha chiesto ai parroci di condividere una durata comune di quattro anni, nella fascia di età dai 7 agli 11, per i gruppi catechistici con i fanciulli. Naturalmente l’accompagnamento alla fede non è limitato a questa età, ma può avere percorsi di avvicinamento con le famiglie dei bambini più piccoli, come anche proposte di vita cristiana per i ragazzi più grandi».

Che cosa potrebbe rendere più efficace l’azione catechistica verso i bambini?
«Una “conversione” dall’idea che il catechismo esaurisca tutte le possibilità, all’idea di una vera iniziazione cristiana in cui la catechesi occupa una piccola parte, ma non esaurisce la vita cristiana, che è fatta anche di preghiera personale e in famiglia, momenti liturgici in parrocchia, partecipazione al servizio di carità nella Chiesa. Il catechismo è un pezzo della iniziazione cristiana: come l’esame di teoria è soltanto un elemento dell’esame per prendere la patente!».

Un suggerimento per un catechista che inizia adesso, o per chi lo sta già facendo da molti anni?
«Non avere l’ansia di dover persuadere qualcuno. E, soprattutto, mostrare la gioia dell’essere cristiani».

Andrea Antonuccio

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