“Il punto di vista” di Adriana Verardi Savorelli
Caro Fabio,
scrivo direttamente a te questa lettera, dopo aver abbandonato i miei vari dubbi. So che non potrai leggerla, ma io desidero tanto liberarmi dai pensieri che mi accompagnano in questi giorni e metto nero su bianco. Una mamma conosce il proprio figlio in difficoltà meglio di qualsiasi luminare della scienza, anche se non potrà arrivare a svelare completamente il mistero della sua psiche e del suo mondo affettivo.
È stato detto che se e quando il bambino autistico acquisisce la capacità di parlare, tende a non usarla in modo comunicativo ed è assente al mondo che lo circonda. Io credo che non sia così, almeno nel tuo caso, e lo dimostro con i fatti realmente accaduti. Racconto frammenti di vita insieme, ma non quelli drammatici. Hai circa sei anni. I tuoi zii, Vera e suo marito Giorgio, vengono a farci visita. Trascorriamo ore serene e a sera avanzata loro tornano in città. Due lumicini dell’auto nell’oscurità che s’allontanano velocemente. Tu piangi, strilli, e chiami ripetutamente “dio dodo” (zio Giorgio). Non serve a niente dirti che è andato a casa a dormire e tornerà presto. Continui a piangere disperatamente. Non c’è altra soluzione: ci mettiamo in auto e andiamo in città. Tutto finisce in letizia quando rivedi lo zio. Ora sorrido ricordando.
Siamo a tavola, a fine pranzo ci prepariamo a bere una buona tazza di caffè, per te un goccio con il latte. Distrattamente sto per mettere un cucchiaino di sale anziché di zucchero nella tua bevanda. Tu protesti energicamente e fermi la mia mano. Hai capito che sto sbagliando, tuo papà ed io, stupiti, applaudiamo: bravo Fabio! Un giorno passeggiamo, mano nella mano. Tu mi parli a modo tuo che io capisco, ma non sempre. Ripeti una parola per me incomprensibile, ti chiedo di essere più chiaro, tu insisti e io incomincio a preoccuparmi perché so che potresti arrabbiarti. All’improvviso cambi atteggiamento. Ti avvicini ad un’auto parcheggiata lungo la strada e con il dito indichi un pupazzetto giallo che è visibile dal vetro. Finalmente capisco che vuoi dire giallo riferendoti al sole. Mortificata ti chiedo scusa. Hai faticato parecchio per farti capire, sei contento, ridi ed io pure rido.
Quella mia imprevista caduta sul marciapiede della strada mentre camminiamo tranquilli! Ho un gran male al ginocchio sinistro, mi rialzo faticosamente e tu mi guardi ansioso. Andiamo nell’infermeria della Casa protetta, dove tu sei ospite, per farmi medicare. L’infermiera di turno e io stessa ti rassicuriamo, va tutto bene, ma tu ancora preoccupato mi sollevi il pantalone della gamba destra per controllare che quella sia a posto, infine ti calmi e insieme cantiamo allegramente il tuo brano preferito “Montagne verdi”. Una domenica nella chiesa della Casa dedicata a San Giuseppe. Durante la mia lettura all’ambone di un brano evangelico tu dal banco ti alzi, ti avvicini a me e alle spalle mi accarezzi i capelli. Quanti bei ricordi… mentre ascolti le canzoni che a te piacciono tanto e balli felice!
Beati noi quando seduti sulla panchina del parco comunale ammiriamo la natura bellissima, le montagne baciate dal sole, le colline d’intorno, ma soprattutto io ti guardo mentre recito il Padre nostro, baci la Croce di Gerusalemme che porto al collo e vuoi che anch’io la baci. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo! Tu sei, quindi, presente in questo mondo, non certo lontano e lo dimostri manifestando i tuoi sentimenti non diversi dai miei e dalle persone cosiddette normali. Per il resto il mistero che ti avvolge è tutto da scoprire. Ti scrivo ancora che non vorrei più pormi domande alle quali non ho risposte, devo fidarmi di Qualcuno che vede e provvede. Prego per te, per noi genitori e per tutte le persone che non ti dimenticano e ti vogliono bene. Ti abbraccio in Cristo nostro Signore e Salvatore.
Tua mamma Adriana
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