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Il sapore concreto della Pasqua

Gli auguri del nostro Vescovo monsignor Guido Gallese

Eccellenza, ci racconta la sua Pasqua più significativa?
«Il Triduo pasquale più bello della mia vita è quello che sto per iniziare, perché la Pasqua è un cammino progressivo nel quale entri in un Mistero e ogni volta puoi cogliere qualcosa di nuovo. Per cui non vedo l’ora di vivere la prossima Pasqua dicendo: “Ho desiderato ardentemente celebrare questa Pasqua”. Se così non fosse, sarebbe probabilmente il segno che sto andando spiritualmente in pensione. E quindi potrebbe esserci qualcosa che non quadra!».

E guardando più indietro nel tempo?
«Nel passato ho vissuto degli eventi in cui ho visto veramente il Signore. Anche in modo molto forte, sia nella mia vita sia in quella degli altri. Non posso dimenticare la Pasqua dell’Anno giubilare del 2000, che ho vissuto con due persone molto care che hanno deciso di fare il Giubileo in modo “alternativo”. Andando in Paradiso…».

Chi sono?
«Una è la mia mamma; l’altra è una donna malata di cancro, che ho battezzato “clandestinamente” in ospedale alle 22.30 del 19 dicembre del 2000, appena prima di Natale. A Pasqua ha fatto la comunione: come dimenticare la fame di Cristo di questa persona divorata dal male? È mancata a luglio di quell’anno… ho nel cuore la sua gioia, il suo sguardo felice di bambina che aveva sete di Cristo. Come dimenticare l’incontro tra questa donna e mia madre, a cui avevo chiesto tante preghiere per lei? E poi…».

E poi?
«Ricordo anche la Pasqua di una giovane che ho battezzato, comunicato e cresimato, con il permesso del vescovo, quando ero prete a Soviore (in provincia di La Spezia, ndr) nei primi anni del 2000. Mi ha scritto in questi giorni, ringraziandomi del cammino che le ho fatto fare, anche se andava contro alle sue naturali inclinazioni. Ricordo anche le Pasque vissute con i miei parrocchiani, una comunità in crescita che stava cercando il Signore e si impegnava in modo commovente. Senza contare le volte in cui la Parola di Dio mi ha trafitto in modo forte, proprio per Pasqua, mettendomi di fronte ai compiti ardui ai quali il Signore mi chiamava. Il più arduo di tutti è la mia conversione, che mi è sempre sembrata impossibile. E infatti è impossibile agli uomini, e la sta compiendo Dio… per fortuna!».

La Pasqua vissuta come un’esperienza.
«Per me la Pasqua ha sempre avuto un sapore concreto. Non è mai stata una celebrazione liturgica fine a se stessa, ma un ricapitolare la mia vita: un trovarmi con i sandali ai piedi, i fianchi cinti, il bastone in mano, davanti a un fuoco con l’agnello che cuoce, pronto a partire per una nuova avventura. È sempre stata arrivare davanti al Mar Rosso, metaforicamente, con l’acqua alla gola. Inseguito da un esercito di problemi pronti a farmi a pezzi, e sentirmi dire che dovevo semplicemente prendere un bastone e dare due colpetti sull’acqua perché si aprisse… le mie Pasque sono sempre stati momenti di svolta, anche perché la Liturgia è fortissima».

Parliamo di Liturgia, allora.
«La nostra celebrazione si apre il Giovedì Santo alla sera e si chiude con la Veglia pasquale. Tutto viene ricapitolato in Cristo. E Gesù risorge, ci dà un modo diverso di vedere la vita e di viverla. Certamente la Parola di Dio è fondamentale per capire queste cose, perché nessuna parola umana può aiutarci veramente… La Parola di Dio: per anni l’hai letta e non l’hai mai capita, e continui a scoprirne nuovi significati perché ti accorgi che questo Mistero è molto più profondo della tua capacità di comprensione. Una volta che cominci a capire, ti rendi conto che Dio agisce in un modo che non è per nulla lineare, non è intuitivo ed è tutto nelle Sue mani, non in ciò che fa l’uomo. L’uomo cosa ci mette di buono? Solo degli errori, che non sono buoni. E Dio fa tornare tutto per un bene più alto. Anche il male che viene commesso».

L’uomo cosa può mettere, allora? Solo il suo errore?
«Solo il suo “sì”. Come ha fatto Maria: “Sia fatto di me secondo la tua Parola”. Che è quello che dice Gesù la sera prima di morire: “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Ovvero quello che Gesù ci insegna a dire al Padre: “Sia fatta la tua volontà come in Cielo, così in terra”. L’uomo deve dire il suo “sì” e lasciarsi fare da Dio, che mette nel cuore desideri fuori dalla nostra portata, più alti di noi, ma veri, bellissimi. E ce li fa perseguire secondo una sua logica imperscrutabile. Noi continuiamo a dire “sì” e a fare quello che ci dice, secondo quanto detto da Maria a Gesù, quel primo giorno: “Tutto quello che vi dirà, fatelo”».

E come fa Gesù a parlarmi?
«Gesù parla nella mia esistenza. Capisco che è Lui a chiedermi una cosa quando ho meditato la vita di Gesù e ho capito come agisce».

Però è come se ci fosse uno scollamento tra vita materiale e vita spirituale. Per cui siamo portati a pensare che Gesù mi parli quando medito, leggo la Parola, prego… ma poi “fuori” è come se non mi dicesse nulla.
«Questo in fondo potrebbe essere un ritualismo. Andiamo a Messa, facciamo alcune cose buone e pensiamo che la chiesa, come edificio, sia l’ambito nella quale tutto avviene. Chiuso questo capitolo, pensiamo di aver pagato il conto a Dio e viviamo la nostra vita».

Nella vita “normale” il Signore non può parlare?
«Il Signore può parlare quando e come vuole. Noi dobbiamo solo essere attenti a quando lo fa. Veniamo da un tempo in cui si diceva: “Io quando lavoro, prego. Perché il lavoro è una preghiera”. Ma non è vero: tu devi pregare e lavorare. Solo allora il tuo lavoro può diventare una preghiera. Ma se tu non preghi per conto tuo, quando lavori non sei in grado di pregare. Non puoi sostituire la preghiera, incontro con Dio, in uno stare a tu per tu con il tuo lavoro. Certo, lo spazio della preghiera non è soltanto in chiesa: nella tua giornata devi avere dei tempi in cui ti apri a Dio, perché è lo Spirito che te lo chiede. È lo Spirito che ti chiede di lasciarlo vivere in te».

Ci racconta un momento nella sua giornata in cui lo Spirito le ha detto qualcosa e lei se n’è accorto?
«È difficile dirlo, perché è sempre tutto così nuovo… Ogni giornata è piena di azioni diverse in cui si può incontrare il Signore. San Paolo nella Prima lettera ai Tessalonicesi esorta i cristiani, dicendo: “Pregate ininterrottamente”. È un versetto fatto di due sole parole, ed è anche quello che muove il pellegrino russo nel suo peregrinare (vedi il libro “Racconti di un pellegrino russo”, ndr). Significa che mentre io faccio le cose, sto invocando Dio perché voglio che Lui sia mio compagno di strada nel vivere. E quando scelgo di avere Dio come compagno di strada, in ogni mia azione si schiude un universo, pian piano».

Quando non è così?
«Sono solo, come tutti. Quando invece ho la consapevolezza della presenza di Dio con me, quando mi lascio “inabitare” da Cristo, il mio modo di vivere cambia perché guardo le cose già da un altro punto di vista e mi pongo in un altro modo. Dal “buongiorno” che do a una persona a qualsiasi altra circostanza della vita…».

Eccellenza, cosa ci augura per questa Pasqua?
«L’augurio per Pasqua è di vivere questa lunga celebrazione cercando di mettersi di fronte a questo Dio “strano” che abbiamo conosciuto. Un Dio non convenzionale, che usa strade non convenzionali e riesce a far sì che tutti gli uomini si trovino nella possibilità di incontrarlo. E di goderne la presenza».

Andrea Antonuccio

 

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