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Alessandria Racconta – Il commissario Vespucci

Tra la fine del 1484 e l’inizio del 1485, Gian Galeazzo Sforza, signore di Milano, nominò commissario cispadano, vale a dire governatore dei distretti di Tortona e Alessandria, un funzionario molto intransigente: il fiorentino Pietro Vespucci, cugino del più famoso Amerigo. Il suo atteggiamento spavaldo gli procurò però fin da subito odi e antipatie. Come ricorda Andrea Valentini nelle sue microstorie alessandrine, una delle prime sgradevoli beghe riguardò il suo salario: Vespucci chiese che gli fosse corrisposto un duplice compenso in virtù del fatto che rivestiva sia la carica di podestà che quella di commissario. La cittadinanza alessandrina non era però disposta a sopportare un tale esborso; il consiglio degli anziani indirizzò quindi una lettera di protesta al duca di Milano, enumerando le diverse motivazioni che contrastavano tale richiesta. Ciò nonostante, il Vespucci continuò a reclamare il doppio stipendio, minacciando provvedimenti sanzionatori. Un altro dissidio lo ebbe con il podestà di Tortona a causa di un conflitto di competenze circa un delitto avvenuto a Pozzolo Formigaro. Inoltre, quando scoppiò una lite per questioni di confine tra Tortona e Castelnuovo – culminata con una rappresaglia dei castelnuovesi che razziarono quasi cento capi di bestiame ai tortonesi – Vespucci intervenne contro questi ultimi con un piccolo esercito. Le truppe s’imposero con una tale ingiustificata prepotenza che ci scappò il morto. La popolazione di Tortona minacciò di uccidere il governatore, che scampò fortunosamente al linciaggio. Ritornato ad Alessandria, volle mettere finalmente ordine nelle estenuanti lotte tra guelfi e ghibellini. A tale proposito, in una missiva indirizzata ai signori di Milano, scrisse esattamente: «glio ritrovato tanti mancamenti et gli homeni dissoluti et malcorreti quanto dir si possa…». Vespucci giustiziò personalmente, e senza processo, Carrante (o Carranto) Villavecchia, di parte ghibellina, che si era macchiato di alcuni crimini. I ghibellini decisero allora di vendicarsi: i patrizi Alberto Inviziati e Biagio Panizzoni, all’interno della chiesa di San Marco, definirono i dettagli della congiura. Il giorno seguente venne assaltato Palatium Vetus (residenza del commissario) e, una volta catturato, impiccarono Pietro Vespucci a una ringhiera del palazzo pubblico di fronte alla contrada dei Mercanti (l’attuale via dei Martiri) facendo poi scempio del suo cadavere. Questo grave atto d’insubordinazione scatenò la reazione di Ludovico il Moro che organizzò una spedizione punitiva, guidata da Giovanni Andrea Cagnola, contro i ghibellini alessandrini. La casa del Villavecchia venne rasa al suolo e i principali artefici della sommossa, Inviziati e Panizzoni, furono arrestati, per poi essere rilasciati soltanto due mesi più tardi.

Mauro Remotti 

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