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Don Bosco è ancora qui – Sabrina Camilli, pediatra: «Correre verso la santità»

Che cosa vuol dire essere cooperatrice salesiana?
«L’associazione dei salesiani cooperatori è stata fortemente voluta da San Giovanni Bosco nel 1876 e costituisce il terzo ramo della famiglia salesiana, insieme alla società di San Francesco di Sales e alle Figlie di Maria ausiliatrice. L’obiettivo è diffondere i valori umani e cristiani secondo il modello pedagogico e il carisma di don Bosco stesso. Cardine di questo sistema pedagogico sono la religione, l’amorevolezza e la ragione».

Lei da quanto tempo è cooperatrice?
«Sono cooperatrice dal 2002. Da bambina, frequentando gli ambienti salesiani, mi ha sempre colpito la particolare attenzione alle esigenze dei giovani nell’accompagnarli in una crescita umana e spirituale. Alcune figure di salesiani e salesiane, insegnanti e sacerdoti, sono state per me molto importanti nel comprendere l’importanza del vivere non solo per se stessi, ma anche per gli altri, e quanto la spiritualità possa aiutare ad affrontare le difficoltà del quotidiano. Occuparsi dei giovani permette di mantenersi giovani e al passo con i tempi. Inoltre, insegna ad imparare da don Bosco ad avere fiducia in loro, nelle loro potenzialità e nel tesoro che ciascuno di loro racchiude».

Cosa s’intende con “promesse”, e cosa vuol dire rinnovarle?
«La promessa si ripete una volta all’anno, in genere durante la celebrazione del 31 gennaio, insieme con i cooperatori del proprio centro salesiano o addirittura della propria città. È un modo per rinnovare con vigore la promessa di vivere, cercando di rispondere ai dettami salesiani».

Come influisce l’essere cooperatrice salesiana in famiglia?
«Il cooperatore semplicemente dovrebbe cercare di rendere l’ordinario straordinario. Il che significa mettere l’amorevolezza in tutte le cose che fa: dall’occuparsi dei cari anziani, all’avere pazienza con il proprio coniuge, fino ad aiutare i figli a credere in un mondo migliore e a sostenerli nelle difficoltà. Il primo luogo di apostolato del cooperatore è, infatti, la famiglia».

E nel lavoro?
«L’altro luogo d’impegno è il “cortile”. Io purtroppo non partecipo molto alla vita del cortile del mio centro di appartenenza, cioè il centro Don Bosco di corso Acqui. Il mio “cortile” è l’ambulatorio in cui passo gran parte delle mie giornate, in cui incontro tanti bambini con le loro famiglie. I bambini di oggi, come quelli di ieri, richiedono attenzione, ascolto e l’indicazione di regole per sentirsi più sicuri. Hanno bisogno di sorrisi, hanno bisogno di sognare, hanno bisogno di credere, e per questo di imparare a pregare. Don Bosco ha insegnato ai propri ragazzi con l’esempio a pregare la Madonna e il Signore. Vorrei che tutto questo fosse un pensiero costante nel mio quotidiano, i bambini imparano ciò che vedono. Avere altre persone in cammino con me, come salesiani cooperatori, insieme con i salesiani sacerdoti e alle religiose, mi permette di rivedere continuamente il mio cammino e di sentirmi in cordata con queste sorelle e fratelli di fede nell’aiutare i ragazzi a correre verso la santità. Una santità che nella Strenna del 2019 (il pensiero del rettor maggiore il successore di don Bosco), è per tutti».

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