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Tutti dobbiamo morire. Ma che la morte sia umana

Intervista a monsignor Gallese sul “fine vita”

«Quello che sta succedendo è normale, perché abbiamo perso Dio»

Eccellenza, morire è un diritto?
«Morire è un dovere (sorride), nel senso che tutti gli uomini devono morire. Però bisogna fare una morte umana, bisogna sapere perché si muore… e proprio nel momento in cui l’uomo perde la coscienza del senso della morte, lì iniziano i problemi».

Quali problemi?
«Avendo perso Dio, abbiamo perso una ragione, una modalità e uno stile con cui vivere la morte: anche come norma esteriore, come tradizione. E ci stiamo interrogando sul senso della vita. A me piace citare Tomislav Ivančić, un teologo che è stato decano della facoltà teologica di Zagabria, in Croazia. Ricordo che in un seminario per sacerdoti disse delle parole che mi sono rimaste “piantate” nella mente da 15 anni, e che periodicamente rimedito perché le trovo profondamente vere. Disse che il problema dell’uomo è che “la sua vita è breve ed è racchiusa tra due tenebre”, perché “non sa da dove viene e non sa verso dove va”. Non sapendo da dove viene e non sapendo dove va, l’uomo vive con angoscia il suo presente, un’angoscia anche subconscia».

Dj Fabo nella sua agonia

 

Si può vincere questa angoscia?
«Gesù Cristo è venuto a dare un senso, rivelando all’uomo che non viene da una tenebra ma dal pensiero di Colui che è la Luce. È uno che ti dice che, prima ancora di esistere, tu eri già nel pensiero di Dio. L’altra cosa che ti dice è che tu sei destinato alla vita eterna, e per entraci devi fare alcuni passaggi. Ora noi amiamo pensare che per entrare nella vita eterna si debba fare i bravi, perché così siamo stati educati sin da piccoli. Per ottenere qualcosa di bello, come la vita eterna, dobbiamo fare il bene, come una sorta di scambio. Ma il punto è che Gesù viene a smontare questo discorso: intanto la Salvezza è un dono, non una conquista. Ma come facciamo a dire che la Salvezza è un dono, se poi te la devi guadagnare? Perché verrebbe da dire che se è un dono non serve fare nulla!».

Proviamo a dirimere la questione.
«È un dono, certamente, ma non è frutto del tuo sudore. È frutto del sangue di Qualcuno che l’ha sudato, e poi l’ha versato! E tu devi dire “sì” a questo dono, e dirlo non è solo pronunciare un suono… è qualcosa di più profondo, un “sì” che si dice con la vita. Allora Gesù è venuto a donarci una rivelazione che toglie la tenebra dopo quella porta che si chiama morte, l’elemento più angosciante di tutti. Se la porta sull’Aldilà rimane chiusa, se dopo non c’è nulla, la nostra vita può trovare il suo senso solo in modo immanente. E quindi è fatta di piccole gioie: roba da galline che beccano il loro mangime quotidiano delle piccole soddisfazioni consumistiche. Questo è un modo di pensare ateo, di un ateismo indifferente che ha il sapore dell’agnosticismo, ma è di un’indifferenza più radicale, si sposa con il consumismo: uno stile di vita in cui tutto diventa “economico”, compreso l’ospedale che si trasforma in un’azienda, anche se ospedaliera, e quindi i suoi trattamenti sono inseriti in un contesto aziendale. E da questo punto di vista si capisce bene il senso dell’eutanasia, che diventa una razionalizzazione economica. Tutto questo viene dall’aver svuotato da Dio il mondo».

E va bene così?
«Quello che sta succedendo è del tutto normale. D’altronde Gesù ci aveva avvertito: “Non potete servire Dio e il denaro”. Noi abbiamo scelto, abbiamo svuotato il mondo da Dio e abbiamo messo la ragione delle nostre azioni nel denaro. E queste sono le banali conseguenze, che si riversano in tantissimi campi. Compreso l’amore: quante volte sentiamo parlare di amore in un’ottica economica, di convenienza. Tutto questo è uno spartito già scritto».

Arriveremo dunque ad avere leggi “senza Dio”, in linea con quelle di altri Paesi europei?
«Credo che l’uomo debba ripensare le sue basi, e il primo a doverlo fare è il cattolico. Come abbiamo ascoltato nella Lettura di martedì scorso: “In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: ‘Vogliamo venire con voi, perché abbiamo udito che Dio è con voi’ (Zaccaria 8,23)”. Bisogna vedere se oggi questo è vero, se accade. Ci stanno tirando per la giacca? Ci stanno dicendo: “Fermati, voglio venire con te perché ho sentito che Dio è con te”? Noi dobbiamo essere i primi a fare questo esame di coscienza: se stiamo andando con il mondo, o se è il mondo a tirarci per la giacca».

Sembra che la reazione a questi avvenimenti, anche in ambito cattolico, sia di condanna o di lamento contro il mondo. Non è un po’ poco?
«Noi cattolici non presentiamo una vera alternativa credibile. Non riusciamo a mostrarla. Forse bisognerebbe ascoltare un po’ le osservazioni di quelli che da fuori ci dicono cosa non va nella Chiesa. Ma anche le critiche di cui si è fatto portavoce il Papa, che vuol farci capire che siamo una Chiesa da museo, ammuffita, in cui si percepisce poco la vitalità dell’incontro con il Signore Gesù. L’Apocalisse, che ho richiamato nella mia Lettera pastorale, è quella che ci richiama al vero senso delle cose: quando in un mondo così, fatto di problemi, di fatiche, di persecuzioni, di omicidi, di flagelli, ci associamo a Cristo, Agnello immolato, in una morte amorosa, noi risorgiamo con Lui. Dobbiamo trovare la strada per questo nostro associarci, legarci, “linkarci” a Cristo. E questo collegamento è l’amore: vivere la morte nell’amore, con amore».

Andrea Antonuccio

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