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La differenza tra avere paura e ringraziare

L’Editoriale di Andrea Antonuccio

Care lettrici,
cari lettori,
apriamo questo numero con l’intervista di Marco Lovisolo, nostro giovane (e promettente) collaboratore, a Giorgia Sansone, una ragazza che sta vivendo un momento delicato della sua esistenza e sta reagendo con creatività e coraggio. C’è un passo dell’articolo (leggi l’intervista completa) in cui Giorgia dice: «Finché viviamo la nostra vita “normale” succede che non ci ricordiamo di Dio, se non nei momenti di bisogno. Preghiamo solo per chiedere qualche grazia. Se invece dobbiamo ringraziare, siamo sempre un po’ restii». Non ho potuto fare a meno di collegare queste parole, così umane, alla situazione che ognuno di noi sta vivendo in questo tempo del coronavirus. «Finché viviamo la nostra vita “normale” succede che non ci ricordiamo di Dio»: non è forse così? «Se invece dobbiamo ringraziare, siamo sempre un po’ restii». Eppure, se uscissimo dalla scontatezza delle nostre giornate e ci guardassimo per come siamo, cioè dipendenti in tutto e per tutto da un Altro (c’è qualcuno tra noi che è in grado di aggiungere anche solo 10 secondi alla sua esistenza?), riusciremmo a essere grati anche solo per il fatto di svegliarci al mattino. Ma che coscienza ci vuole per ringraziare di esistere? E da dove possiamo partire per recuperare uno sguardo sulla vita così? Sarebbero da leggere (e meditare) le parole che papa Francesco ha scritto nel suo messaggio per la Quaresima, che pubblichiamo integralmente a pagina 5: «Malgrado la presenza, talvolta anche drammatica, del male nella nostra vita, come in quella della Chiesa e del mondo, questo spazio offerto al cambiamento di rotta esprime la tenace volontà di Dio di non interrompere il dialogo di salvezza con noi». Cerchiamo questo dialogo, in Quaresima: al di là dei nostri piccoli “fioretti”, che non ci tolgono la paura e non cambiano il nostro cuore.

direttore@lavocealessandrina.it

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