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«La Sindone è un simbolo particolare: Dio ha patito come tutti gli uomini»

Intervista al professor Amos Corbini

Sabato 11 aprile nella Cattedrale di Torino è avvenuta l’ostensione della Sindone. È stata fortemente voluta dall’arcivescovo della città, monsignor Cesare Nosiglia (leggi qui la sua omelia), che ha condotto una lunga preghiera in mondovisione. Si è trattato della prima ostensione trasmessa tramite social. Tra i partecipanti alla celebrazione c’era anche Amos Corbini (nella foto qui sotto), professore di storia della filosofia medievale e storia del periodo patristico all’Università di Torino, che è stato chiamato a leggere una breve riflessione. Lo abbiamo intervistato per saperne un po’ di più sul Sacro Lino e sul suo significato in questa Quaresima.

Professore, cosa ha significato per un credente poter ammirare la Sindone proprio in questo momento storico?
«La Sindone è un simbolo particolarissimo della nostra fede perché Dio non solo si è incarnato ma ha patito come un uomo qualunque. Mettere in luce la sofferenza di Cristo, in questo difficile momento storico è particolarmente significativo, perché la nostra fede è fatta anche di materialità. Un altro aspetto da mettere in luce è il seguente. In questo momento di liturgie virtuali, dobbiamo ricordarci che l’ostia consacrata non è un simbolo ma una realtà, il corpo e il sangue di Cristo sono veramente sull’altare. Non ha lo stesso valore ricevere la Comunione durante la Messa oppure poter solo guardare pane e vino consacrati da uno schermo. La Sindone, invece, è realmente un segno che rimanda ad altro da sé, non c’è equivoco possibile. L’idea dell’ostensione mi sembra quindi che sia stata azzeccata anche perché non va incontro a simili pericoli e permette un utilizzo corretto degli strumenti digitali».

L’ostensione può avere significato anche per un ateo?
«Intanto bisogna considerare che l’ateismo è un universo ampio, in cui sono presenti numerose posizioni. La Sindone è oltretutto un simbolo misterioso, su cui sono state proposte tante teorie, ed è tuttora in fase di studio. Tuttavia essa parla a tutti, credenti e non, della realtà della sofferenza umana: ci ricorda che non è la prima volta che gli uomini attraversano momenti terribili, da medievista posso citare l’epidemia del 1348, ma gli esempi potrebbero essere molti. La fede aggiunge qualcosa: nella sofferenza di quell’uomo c’è una redenzione che solo uno sguardo credente può accogliere. Tra i non credenti possiamo individuare vari approcci: per esempio, uno sguardo aperto potrebbe essere in grado di cogliere l’importanza del simbolo, uno sguardo totalmente chiuso al valore simbolico del Lino potrebbe non vedervi nulla o quasi».

La storia della Sindone è lunga e controversa, e la stessa Chiesa non si è espressa ufficialmente sulla sua autenticità. Anche lei è d’accordo a lasciar fare alla scienza per indagarla, come suggerì Giovanni Paolo II nel 1998?
«Certamente, la scienza deve indagare la Sindone. Tuttavia, non è il dato materiale a generare la fede. Il fatto di essere di fronte a qualcosa anche di soprannaturale non connette ciò direttamente alla fede, la quale ha la capacità di essere trascendente rispetto ai fatti. Origene, padre della Chiesa e studioso del testo biblico, ha specificato la fondamentalità dell’aspetto letterale della Bibbia sottolineando però come il suo livello materiale e legato ai documenti storici non sia tutto. Il credente deve andare oltre questo piano, pur fondandosi su di esso. Allo stesso tempo, la scienza e la teologia non sono contraddittorie. Quindi, la scienza potrebbe ad un certo punto affermare che probabilmente la Sindone è il lenzuolo su cui è stato adagiato Cristo, ma la libertà di credere donataci da Dio ci consentirebbe anche allora di accettare il telo come simbolo di fede oppure no. Se la scienza dovesse invece dimostrare con certezza l’inautenticità della Sindone, a quel punto non potremmo più considerarla oggetto di fede, proprio perché piano scientifico e piano teologico non possono raccontare verità opposte».

Come ha vissuto la Quaresima trascorsa in un momento di emergenza per il coronavirus? La sua fede è cambiata?
«Durante questa Quaresima ho vissuto un’esperienza forte di fede: la mia famiglia è stata la mia chiesa. In una situazione mondiale decisamente triste io e la mia famiglia siamo riusciti a trovare segni di Grazia; dobbiamo ricordarci che la Grazia rimane, questo male, invece, non è definitivo. Come tutti i cristiani ho celebrato la Quaresima con rinunce importanti: solo grazie allo sguardo credente si ricava un’intensità particolare. Ritengo che rischi di risultare superficiale fermarsi a dire “andrà tutto bene”. La fede offre qualcosa di più rispetto al piano umano, una prospettiva reale di speranza: d’altronde, la nostra è la fede nella Resurrezione».

Questa pandemia come cambierà la nostra fede e le nostre vite?
«Credo che questa pandemia sia un’occasione. Così come Gesù è risorto con i segni nei chiodi, la nostra fede risorgerà con i segni del momento vissuto. Sono fiducioso nello sperare che la Chiesa approfitti dei cambiamenti introdotti, come le Messe trasmesse online, per migliorare le proprie celebrazioni. Un altro aspetto importante emerso è che la centralità del corpo è fondamentale. Mi auguro di cuore che la Chiesa si apra di più al valore salvifico del corpo, dando maggiore importanza all’importanza di farsi carne; un ambito che si potrebbe valorizzare è quello della danza spirituale liturgica, rispetto alla quale ci sono belle sperimentazioni nella nostra Diocesi (di Torino, ndr) ad opera di Cristina Viotti».

Durante l’ostensione lei ha letto in diretta tv una riflessione. Mi ha colpito il pensiero con cui ha concluso: «Il volto di Gesù…è lo specchio più autentico della bellezza del Padre». Che significato ha questa frase?
«Il punto importante è che Gesù non è rimasto in cielo ma è sceso in terra ed è morto in croce. C’è una dimensione umana in tutto ciò: questo è estremamente bello. Quello del Messia è un volto umano ma ugualmente radioso. La bellezza del Dio cristiano è una bellezza perfetta che si lascia toccare dall’imperfezione, rendendosi umana per noi».

Marco Lovisolo

Leggi anche lo speciale di Voce sulla Sindone:

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