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Qui ho imparato a stare con gli altri

I volti del Collegio

«Il rettore per noi era come un padre. Io stavo volentieri in quel Collegio, per tante ragioni. E non si mangiava neanche male. Tenga conto che negli anni ‘50 avevamo ancora la fame della guerra, quindi avremmo anche potuto mangiare le pietre con il sale». Carlo Alberto Gallia, ex ispettore di Banca, 76 anni portati energicamente, ci restituisce l’immagine di un Collegio (e anche di un’Italia) che fa bene al cuore non dimenticare, soprattutto alle nuove generazioni. «Mi piaceva tantissimo giocare a calcio: ricordo le interminabili partite – collegiali contro seminaristi (questi erano ancora di stanza in via Vochieri) disputate sul piazzale inghiaiato del Santa Chiara, dove puntualmente mi sbucciavo le ginocchia, dato che mi mettevano sempre in porta»

Carlo Alberto, quando è arrivato in Collegio la prima volta?
«Io sono nato e vissuto a Solero. Al Santa Chiara di Alessandria, ho trascorso gli anni delle medie, dai 12 ai 14 anni, quindi dal 1956 al 1958. Ero stato sistemato a pensione completa: saltuariamente andavo a casa per qualche weekend, altrimenti, di domenica, veniva mia mamma a trovarmi (io non avevo più il papà) per il ricambio della biancheria. Insieme passeggiavamo per le vie principali della città, mi portava a volte a mangiare la farinata o un gelato, poi lei tornava alle sue attività. I più fortunati, invece, la domenica venivano accompagnati al cinema di San Rocco da qualche assistente o allo stadio a vedere le imprese dell’Alessandria che, all’epoca, erano ben più esaltanti di quelle espresse ultimamente».

Si ricorda qualche figura di riferimento di quel periodo?
«All’epoca il vescovo era monsignor Gagnor. L’accompagnamento spirituale era affidato a don Carlo Canestri che, dopo una parentesi in Sant’Alessandro, diventerà vicario. Don Cuttica, quargnentino doc, era il più severo e quindi preposto ad insegnarci una disciplina “militaresca” che si faceva notare e anche temere. Ovviamente per il nostro bene. Lui era vice rettore, mentre il rettore era Don Ivaldi, ben più anziano: era più un papà per noi collegiali. Don Vercelli, don Moccagatta, don Ginevri, don Benzi erano gli assistenti che si sono avvicendati in quegli anni nella vigilanza delle varie camerate. Anche Agostino Pietrasanta, futuro vicesindaco di Alessandria, ha avuto un ruolo similare. Il portinaio era il signor Augusto, simpaticissimo».

C’è qualche bel ricordo legato al Santa Chiara e che vorrebbe condividere con i nostri lettori?
«Mi ricordo che ogni camerata ospitava una quarantina di ragazzi, un po’ come in caserma. Ci siamo anche divertiti: erano frequenti gli scherzi che ci scambiavamo, senza ovviamente eccedere in casi di “nonnismo”. Con alcuni di loro mi sento volentieri ancora oggi, altri li ho incontrati casualmente durante la mia attività e mi ha fatto immensamente piacere rievocare quei tempi. È stata anche un’esperienza molto formativa: ho imparato a stare con gli altri, a farmi il letto da solo, a lavarmi nell’acqua fredda. Io ci stavo proprio volentieri anche se, a volte a pranzo, per i più giovani non sempre c’era la carne. Le suore che stavano in cucina in questi casi ricorrevano a fette di formaggio, ma erano buone anche quelle. La sveglia, al mattino, era prevista per le 6.30 ed era sempre don Ivaldi che si premuniva di “svegliare” i ritardatari. Alle 7 c’era la Santa Messa, poi tutti in fila per andare a scuola fino all’ora di pranzo. Il programma pomeridiano consisteva in due ore di studio dalle 14 alle 16 e poi via in cortile per un’ora e mezza. Si rientrava sui banchi di studio alle 17,30 per arrivare fino all’ora di cena. La sera si trascorreva ancora all’aperto oppure davanti al televisore, per meno di un’ora, in un ampio salone. All’epoca ovviamente c’era solo un canale che, forse per la novità di quei tempi, risultava molto più interessante rispetto a quelli attuali. Mi sono rimasti impressi alcuni spettacoli comici, le nozze del principe Ranieri con Grace Kelly, alcune imprese ciclistiche, l’ultima Mille Miglia, i primi “Carosello”. Alle 21 tutti a dormire».

E ora che emozioni le suscita vedere il Complesso Santa Chiara riaprire dopo tanto tempo?
«Sono contento che questo luogo sia stato restituito alla città e spero di poter contribuire alla sua nuova vita anche nel pratico, per esempio sistemando l’indispensabile segnaletica di sicurezza! (ride)».

Zelia Pastore

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