“La recensione” di Fabrizio Casazza
Pietro Ichino (nella foto di copertina), avvocato, pubblicista, docente universitario, ex parlamentare, ha appena pubblicato con Rizzoli “L’intelligenza del lavoro”. Come struttura portante del testo sono collocate tre idee, definite dallo stesso autore un po’ inattuali, ma che potrebbero cambiare innanzi tutto la cultura delle relazioni industriali prima ancora che l’apparato legislativo. La prima idea riguarda la necessità di far emergere «veri e propri giacimenti occupazionali che anche oggi […] restano inutilizzati» (p. 10).
Lo Stato non dovrebbe artificialmente mantenere in vita posti in aziende decotte ma proteggere i dipendenti con un robusto sostegno al reddito in attesa di occupare posizioni già ora scoperte. Il vero compito del sindacato nel mercato del lavoro – il professor Ichino fu tra l’altro anche dirigente sindacale della Fiom-Cgil – «è promuovere la parità di opportunità: aiutare i più deboli ad arricchire la propria parità di opportunità: aiutare i più deboli ad arricchire la propria dotazione professionale, neutralizzare i loro handicap, compensare le asimmetrie informative che li penalizzano» (p. 174). La seconda idea è che ormai sono spesso «i lavoratori a scegliere e “ingaggiare” l’imprenditore ritenuto più capace di valorizzare il loro lavoro».
La globalizzazione sopravviverà alla pandemia spodestando il modello della «fabbrica-cattedrale nel deserto» (p. 22): per questo occorre un rinnovamento dei sindacati, che non devono indulgere a recriminazioni di retroguardia volendo difendere a priori l’italianità dell’impresa, rinunciando così a preziosi capitali stranieri. L’obiettivo dei governi dovrebbe essere «attirare il maggior numero possibile di imprenditori stranieri nel mercato del lavoro italiano, perché sia possibile scegliere quelli che offrono il progetto migliore» (p. 141).
La terza idea è che «occorre una nuova “intelligenza del lavoro”» per capire i complessi meccanismi dell’odierno mercato del lavoro. Così, a proposito dell’introduzione sempre più pervasiva delle innovazioni, il «problema non è di ritardare il progresso tecnologico, ma di redistribuirne i benefici e riqualificare le persone sostituite dalle macchine, in modo che possano dedicarsi ai molti lavori richiesti ma vacanti già oggi» (p. 44), come analisti, saldatori, elettrotecnici, meccanici, ingegneri.
«La vera sfida che oggi il sindacato e le politiche del lavoro devono affrontare […] è questa dell’aumento apparentemente inarrestabile delle disuguaglianze di produttività tra le persone nell’ambito dello stesso contesto sociale, e anche all’interno della stessa categoria professionale» (p. 173). Del resto, l’innovazione crea sì esuberi ma anche nuove occasioni di lavoro, come accadde all’inizio del Novecento con le lavandaie, diventate operaie e dattilografe. Contestualmente a questa presa di coscienza bisognerebbe implementare servizi d’informazione e formazione mirata.
Insomma, nel momento in cui il governo sollecita una progettazione complessiva per aiutare l’economia a ripartire dopo l’emergenza sanitaria le proposte di questo libro rappresentano certamente un contributo qualificato.