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Presentato al Salone del “Libro Jugoslavia. Il tragico mosaico”

Cultura

Sabato 20 e domenica 21 maggio al Salone del Libro di Torino, nella sala di Echos edizioni, l’alessandrino Graziano Canestri (nella foto in alto, il secondo da destra) ha presentato il suo libro “Jugoslavia. Il tragico mosaico“. «Da sempre sono un appassionato dei Balcani. Ho studiato per quattro anni all’Università di Torino, alla facoltà di Lettere e Filosofia, con indirizzo slavistico fondamentalista di lingua serbo-croata e russa. Oggi, però, faccio tutt’altro: sono addetto al controllo qualità in un’azienda di materie plastiche dell’alessandrino» spiega Canestri, che dal 1996 al 2002 è stato in diverse zone dell’ex Jugoslavia: una realtà fatta di guerre, divisioni e morte, e che ancora oggi ha tanto da raccontare.

Canestri, come è andata al Salone del Libro?

«È andata molto bene, mi sono confrontato con molte persone, tra cui docenti competenti in materia e studenti. In tanti sono rimasti colpiti dalla copertina e dai contenuti. È stata un’esperienza importante di crescita».

Ci parli del libro.

«Il mio libro è frutto del lavoro di quasi un anno. La Jugoslavia è da sempre la mia passione: una realtà che sembra vicina geograficamente, ma è lontana dal nostro pensiero e dalla nostra cultura. Così ho cercato di raccontarla, in modo vero e reale, mantenendo una posizione neutrale».

Cosa possiamo trovare?

«Ho diviso il libro in 13 capitoli. Si tratta di un excursus in ordine cronologico: dalle origini alla Prima e Seconda guerra mondiale, fino alle cause che hanno portato alla guerra civile, alla situazione successiva e ai giorni d’oggi. Parto dalla nascita della Jugoslavia (in senso ampio) dopo la Grande guerra, quando venne usata come zona-cuscinetto. E poi racconto della sua fine, a partire dal 1991, quando Slovenia e Croazia sono diventate indipendenti. Ripercorro questi anni in un viaggio nella storia e nelle cultura, attraverso la drammaticità degli eventi».

Non solo storia, dunque, ma anche cultura…

«Sì, le ho dedicato un capitolo intero. Non dobbiamo dimenticarci che lo scrittore Ivo Andrić vinse nel 1961 il Nobel per la Letteratura. Ma sono tanti altri gli scrittori che hanno prodotto opere importanti. In quel periodo e in quelle terre, la storia ha particolarmente influenzato la letteratura».

Lei è stato in quelle terre.

«Sì, ricordo in particolare l’esperienza a Vukovar, in Croazia, al confine con la Serbia: era ancora martoriata e devastata dalla guerra civile. Ma sono stato anche in Slovenia, Bosnia e in altre città della Croazia. Sono stato tra la gente, ho parlato e ho cercato di comprendere il pensiero di queste popolazioni. Spesso vengono chiamati “zingari”, ma in verità sono persone con grande dignità e umanità: ho trovato un ambiente accogliente, che mai mi sarei aspettato di incontrare. Una realtà vista con i miei occhi, ben diversa da quella che passava in tv».

Un esempio?

«Nel 1999, quando la Nato bombardò Belgrado, dalla base di Aviano, in Friuli, si vedevano partire i “tornado”. Molti pensavano si trattasse di una esercitazione, pochi sapevano che stavano andando a bombardare una nazione sovrana».

Che significato ha questo libro, oggi?

«La storia dei Balcani può aiutarci a capire tanto di quello che sta accadendo in Ucraina. Una guerra già annunciata, nell’aria già da diversi anni».

Quale futuro si aspetta per i Balcani?

«Un futuro incerto… si è sempre parlato di includere i Balcani nell’Unione europea, ma ci sono progetti ben poco concreti. Economicamente, dopo la guerra civile, la zona si stava rialzando. Purtroppo il Covid è stato un brutto colpo per la popolazione».

Le ferite dei conflitti sono ancora aperte?

«Sono ferite tramandate di padre in figlio. Non sono ferite di oggi, ma solchi scavati dalla Prima e dalla Seconda guerra mondiale, e dal conflitto civile. Quell’odio interiorizzato è saltato fuori: durante la guerra civile, infatti, i crimini più efferati sono stati commessi dalla popolazione, non dagli eserciti. Vicini di casa, colleghi di lavoro o studenti che un giorno si sono trovati a combattere gli uni contro gli altri. E quell’odio si sta tramandando, per la pace ci vorrà tanto tempo… Soprattutto perché, attualmente, ci sono delle situazioni in essere: penso alle questioni aperte tra Kosovo e Serbia, ma anche tra Repubblica Serba e Bosnia-Erzegovina. L’ex presidente Tito, in fin di vita, comprese di aver fatto la Jugoslavia ma non gli jugoslavi. Per questo, ancora oggi, i Balcani sono una polveriera pronta a esplodere».

Alessandro Venticinque

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