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«Una terra troppo ferita che non trova pace»

Il racconto di don Giuseppe Bodrati

«Era il 1995, appena finita la Guerra dei Balcani. Partiamo per Sarajevo a prendere alcuni ragazzi orfani e portarli nella colonia estiva ad Arenzano. Con la Caritas di Alessandria e altre associazioni, in questo viaggio avventuroso, eravamo guidati dalla splendida figura di Sabino Di Donna». Se la ricorda bene quell’esperienza, don Giuseppe Bodrati, parroco di Valenza. E proprio da quell’episodio partiamo, per raccontare il territorio bosniaco che, oggi come allora, vive in condizioni difficili.

Don Giuseppe, cosa ricorda dell’arrivo in Bosnia?
«Ricordo la particolarità del viaggio: abbiamo attraversato zone di guerra, spesso distrutte. Erano stati appena costituiti i confini. Siamo arrivati in tarda notte, e ricordo che al mattino ci siamo svegliati con la voce del muezzin che richiamava alla preghiera. L’immagine più forte, appena arrivati, è la Cattedrale di Sarajevo circondata dall’Esercito italiano per evitare gli assalti dei mujahidin».

Com’è proseguita quella “spedizione”?
«Abbiamo poi avuto l’incontro con questi ragazzi all’orfanotrofio. Loro ci hanno offerto quello che avevano e poi siamo partiti. Durante il viaggio abbiamo iniziato a prendere confidenza: è stato bello vedere lo stupore nei loro occhi, appena arrivati a Trieste, perché non avevano mai visto il mare. Infine l’arrivo ad Arenzano, lontano da quell’inferno che era Sarajevo».

Lei conosce bene anche Medjugorje…
«Lì la situazione è diversa, perché Medjugorje è l’enclave dell’Erzegovina, si considerano croati. Vista l’internalizzazione del Santuario si vive in un clima più sereno, ma anche in quelle zone hanno visto la guerra. Anche se oggi c’è molto dialogo con le comunità mussulmane vicine, anche in quei territori è avvenuta una pulizia etnica drammatica»

Oggi quella zona è un difficile snodo di passaggio per i migranti, lungo la rotta balcanica.
«Adesso il problema è il confine con la Croazia, e poi all’arrivo con la zona slovena, la cosiddetta “Area Schengen”, alle porte dell’Unione europea. C’è molta tensione, ho visto dei filmati davvero orrendi. La politica non riesce a gestire questa situazione, ma non voglio addentrarmi in difficili conclusioni».

Ha un ricordo particolare di quella terra?
«Ho diversi ricordi. Nei giorni passati a Sarajevo mi aveva colpito il panorama delle colline, vicino allo stadio Olimpico, proprio dove era stato Giovanni Paolo II. Una vista di tale bellezza, ma che ha visto tanti morti. Questa città è proprio caratterizzata da un semicerchio di colline, là sopra si appostavano i cannoni serbi che bombardavano la città. Addirittura una strada veniva chiamata “Viale dei cecchini”, tutte le tv andavano lì per fare le riprese: le macchine sfrecciavano veloci per non essere colpite dai proiettili serbi. Un periodo davvero duro la guerra dei Balcani. Ma la vicinanza di papa Wojtyla fu un segno concreto: aveva nominato l’attuale arcivescovo di Sarajevo, cardinale Vinko Puljić, per dare forza e sollevare la vita dei nostri fratelli cattolici croati. Si considerano anomali perché etnicamente si sentono croati. Venendo meno la Jugoslavia e la creazione di nuove frontiere, si sono trovati divisi. Per i residenti è stata, e continua a essere, una divisione dolorosa. Una terra troppo ferita, che ha visto decide di migliaia di morti, in cui non c’è modo trovare pace».

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