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Morire di speranza: non è un gioco di parole

Giornata Mondiale del Rifugiato

L’invito a pregare in comunità è sempre cosa bella, utile, buona ma quando all’invito si aggiunge una particolare attenzione anche alla scelta del proposito per cui si intende pregare e ciò si traduce, a sua volta, in una cura che – lungi dall’essere sterile esercizio di retorica – produce un titolo e una selezione di contenuti di forte impatto emotivo, razionale oltre che spirituale, allora si può cogliere in pieno la ragione dell’efficacia della proposta di preghiera che si è svolta mercoledì 30 giugno alle ore 19 nella Chiesa parrocchiale di Santo Stefano ad Alessandria.

L’incontro era infatti intitolato “Morire di speranza” ed è stato organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Caritas Diocesana e dall’Ufficio Diocesano Migrantes per ricordare quanti hanno perso la vita nei viaggi verso l’Europa e il Nord-America guidati dalla speranza di un futuro migliore. Come in molte altre città italiane, “Morire di speranza” è un appuntamento di preghiera che si rinnova ogni anno in corrispondenza della “Giornata Mondiale del Rifugiato”: una ricorrenza indetta dalle Nazioni Unite ogni 20 giugno per commemorare l’approvazione (nel 1951) della Convenzione relativa allo Statuto dei rifugiati da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu.

Proprio il contemperamento della dimensione “civica” della consapevolezza circa il dramma delle numerosissime vittime dei “viaggi della speranza” con quella di carattere spirituale – affinché, a partire dalla preghiera, il Signore ci aiuti a ricordare questi fratelli e sorelle e ci ispiri ad operare fattivamente perché tali continue tragedie non si ripetano più – è uno degli elementi che più mi hanno convinto nel partecipare all’incontro del 30 giugno: un incontro promosso a livello nazionale dalla Comunità di Sant’Egidio insieme ad altre associazioni impegnate nell’accoglienza e nell’integrazione delle persone fuggite da guerre o da situazioni insostenibili nei loro Paesi.

Durante la preghiera sono stati letti i nomi di molte delle vittime recenti, di ogni età e provenienza geografica, e i dati complessivamente risultano assai drammatici in merito a questi sfortunati “viaggi della speranza”: 4.071 profughi da giugno 2020 ad oggi hanno perso la vita nel Mediterraneo e lungo le vie di terra nel tentativo di raggiungere l’Europa, mentre 43.397 persone risultano morte accertate (senza contare i dispersi) nei viaggi verso l’Europa dal 1990 al primo semestre del 2021, considerando che negli ultimi 5 anni le vittime sono  state più di 16.000, di cui il 14% bambini e il 26% donne (più della metà delle vittime registrate sulla rotta marina verso l’Italia, per lo più dalla Libia, mentre il 37% lungo la rotta marina verso la Spagna, per lo più dal Marocco).

Come ha sottolineato nella propria riflessione Claudio Bagnasco a nome della Comunità di Sant’Egidio, commentando il brano biblico proposto e incentrato sulla costruzione dell’arca da parte di Noè (Genesi 6, 5-8, 13-20), la “salvezza” è costruire un’arca «non per sé, ma quale casa più grande dove ci sia spazio per tanti. “Non ci si salva da soli – come ha detto papa Francesco – ognuno per conto suo, ma ci si salva insieme”. Insieme: in una barca comune, in una casa comune, in una famiglia più grande che accolga tutti. In questa arca di salvezza abiterà anche il Signore. La Parola ci insegna che Dio vuole abitare con gli uomini e salvare l’umanità vuol dire costruire una casa per tutti, dove abita Dio con gli uomini».

E dunque, poiché “Morire di speranzanon può affatto essere ungioco di parole”, le vittime che sono state ricordate nella preghiera ci chiedono di aprire veramente il nostro cuore per costruire una famiglia larga e interpellano tutti noi affinché non viviamo per noi stessi lasciando che l’indifferenza sia padrona. «Vogliamo prenderci l’impegno – ha concluso il proprio intervento Claudio Bagnasco – per rivestire di interesse ogni persona, iniziando da chi è più fragile, da chi sta per perdere la vita: vicino o lontano che sia».

Guido Astori

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