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credit: Francesco Malavolta

Francesco Malavolta: «Negli occhi di chi passa al confine c’è l’orrore. L’orrore della guerra»


Intervista al fotoreporter Francesco Malavolta dal valico di Medyka

«La guerra è orrenda». La voce di Francesco Malavolta (nella foto), 46 anni, giornalista e fotoreporter, va e viene. La linea, al confine tra Polonia e Ucraina, salta diverse volte. Si trova al valico di Medyka, un paese vicino Przemyśl, nel sud-est della Polonia. Lì, da più di una settimana, passano centinaia di migliaia di profughi che da tutta l’Ucraina scappano dal conflitto per trovare “riparo” in altri Paesi europei. Sono donne con i loro bambini, pochi anziani, e si vede anche qualche uomo: tutti hanno nel cuore e negli occhi l’inferno della guerra. A condividere questa paura, tra i tanti volontari, anche giornalisti e fotografi. Ed è proprio grazie al loro prezioso lavoro che, nella tragedia, riusciamo ad avere testimonianze vere su ciò che sta accadendo. Tra questi c’è anche Francesco, che da anni scatta foto e racconta il dramma di profughi e rifugiati, ed è arrivato al confine un paio di giorni dopo l’inizio del conflitto: «Mi sposterò al confine con l’Ungheria e poi tenterò di entrare in Ucraina» ci dice al telefono, mentre la sua voce va e viene. «C’è poca linea, ma proviamoci lo stesso…».

Francesco, raccontaci lo scenario che hai attorno.

«Qui, a Medyka, ci troviamo in uno dei sette o otto valichi di frontiera polacca, dove negli ultimi dieci giorni sono transitate più di un milione di persone. La restante parte è passata dai confini di Romania, Slovacchia, Moldavia e Ungheria. Le dinamiche di questi confini sono diverse rispetto a quelle che siamo abituati a vedere. Questi sono confini ufficiali: i valichi, in particolare negli ultimi giorni, sono stati aperti. Quindi non si trovano strade alternative come per la “rotta balcanica”. La fila di auto e pullman che tenta di entrare è veramente lunga. Arrivano in tutti i modi: in macchina, in autobus, attraverso auto di amici, qualcuno a piedi. Ma arrivano anche con i treni, spostandosi dalla stazione, molto importante e vicina a questo valico, che collega Leopoli a Cracovia. Una volta arrivati, fanno un veloce pasto caldo, qualcuno prende degli indumenti e si riposa in scuole o aziende, adibite a dormitori. Poi tentano di ripartire, alla ricerca di una sistemazione».

Chi vedi passare?

«Per la maggior parte donne, bambini e anziani. Come sappiamo, gli uomini rimangono a combattere, oppure arrivano all’interno della Polonia, mettono la famiglia al sicuro e ritornano a difendere la propria terra. Nei confini c’è un sistema di volontari che arriva da tutta Europa. In questo istante, per esempio, sta arrivando un pullman da Torino per prendere una ventina di ragazzi accompagnati. Ma tanti altri volontari che, fuori dalla stazione o dai valichi, mettono dei cartelli con scritto: “Ospitiamo tre persone in casa, a Varsavia”, “possiamo ospitare cinque persone in Germania” oppure “vi diamo uno strappo in macchina”. Anche se non esiste un vero e proprio coordinamento tra volontari, c’è una rete solidale incredibile, e sembra una macchina abbastanza oliata. Per esempio, lo scorso giorno sotto un mio post su Facebook, una una ragazza polacca, che vive in Italia, mi ha scritto: “Vorrei mandare delle pizze per queste persone”. Da questo messaggio, altre persone hanno creato una rete e nell’arco di tre giorni, in questa stazione e in altri luoghi, sono arrivate migliaia di pizze. Una solidarietà semplice, di cuore, fatta da tutti. Completamente diversa rispetto a quella che si era vista tra novembre e dicembre. Quando, al confine con la Bielorussia, profughi da tutto il Medio Oriente furono trattati da migranti di “serie B”».

credit: Francesco Malavolta

E proprio su questo c’è una forte polemica. Anche in guerra, le discriminazioni sui migranti di “serie B” vanno avanti…

«È una polemica accesa anche qui, e pare che queste discriminazioni stiano continuando, molti giornali autorevoli ne parlano. Chi entra nei confini dall’Ucraina ed è di un’altra nazionalità, magari scuro di pelle, non viene trattato bene e viene fatto passare indietro. Questa cosa è assolutamente deplorevole, assurda e senza un minimo di logica. Non ho assistito a queste scene, perché la parte dei confini dove c’è il transito tra Ucraina e Polonia, ovvero circa 600 metri, è vietata a chiunque. Lo zoccolo duro dei soprusi avviene all’interno di questi spazi dove non è possibile raccontare. Ma, da quello che si percepisce, anche da altre parti le discriminazioni proseguono. E i racconti arrivano direttamente dai protagonisti, con video e testimonianze. Una tragedia nella tragedia».

Quali sono le intenzioni e i pensieri di chi passa al confine?

«In molti cercano di stare in zona, perché la speranza è quella del cessate il fuoco o del ritiro totale da parte dei russi. Questo permetterebbe loro di ritornare a casa dai propri cari. Altri, invece, cercano di arrivare dai parenti che vivono in Polonia o nel resto d’Europa. Le tensioni all’interno dell’Ucraina non sono un fatto nuovo, ma non si sarebbero mai aspettati una situazione così drammatica. Sono all’improvviso, come tutti quanti, disorientati e fragili. Sia chiaro, non perché se succede in Africa non ci debba interessare. Anzi, dovremmo raccontare soprattutto quelle guerre dimenticate, come nello Yemen e in Siria. Ma vedere questo in un Paese che vuole far parte dell’Unione Europea, e che quindi sentiamo “vicino”, scombussola tutti quanti. Accade quando all’interno di un Paese come la Russia chi governa non è altro che un dittatore. Pensiamo soltanto alla censura: sono stati staccati i social network, è vietato nominare la parola “guerra”, e chi la pensa all’opposto viene arrestato. Questo, in minima parte, fa capire il personaggio che comanda in Russia. Però, siamo tutti coinvolti in questo scenario: quante volte siamo scesi a patti e accordi, economici e politici, con lui? Non dimentichiamoci le sue cene, in Italia, in certe ville di cui non facciamo neanche i nomi…».

L’opinione pubblica sente sempre il bisogno di doversi schierare e decidere chi è il “buono” e chi il “cattivo”. Si cerca la polarizzazione per individuare il proprio nemico?

«Io non credo ci sia il bisogno di schierarsi per forza. Qualche giorno fa, proprio su questo, ho avuto un diverbio sui social: sono stato accusato di essere a favore dell’Ucraina, contro Putin, e quindi filo-americano. Non c’entra niente, non è questo il punto. Io mi schiero dalla parte dell’umanità. Mi schiero contro la violenza, contro le guerre, contro chiunque violi i diritti umani, contro ogni tipo di sopruso. Questo è il mio schieramento. Non c’è un buono da tifare o un cattivo da odiare. C’è semplicemente una cosa sola da fare: ripudiare la guerra».

In questi giorni, missili e bombardamenti non hanno mai smesso di colpire l’Ucraina, anche se sono partiti i primi corridoi umanitari. Com’è la situazione?

«Stanno aumentando i flussi, questo senza dubbio: negli ultimi giorni sono arrivate tante persone quante ne erano arrivate nell’arco di una settimana. Le promesse del cessate il fuoco sono durate pochissimo, e questo sta incidendo molto sui movimenti dei profughi. Immagino che dalle trattative ci siano delle dinamiche che non conosciamo e che non sono arrivate alla stampa. Stanno funzionando e sono aumentati gli ingressi, ma di solito per i corridoi umanitari si decide totalmente di non sparare più. La mancanza dello stop al fuoco da parte dei russi, fa capire che sono corridoi poco sicuri».

credit: Francesco Malavolta

Hai un aneddoto da raccontarci?

«Al mio arrivo alla stazione dei treni ho trovato una lunga fila di passeggini. Ho subito scattato una foto. All’inizio credevo fossero “parcheggiati” lì dalle stesse mamme ucraine, ma ben presto ho capito che venivano portati dalle donne del luogo. Ho nel cuore un’immagine ben precisa: una mamma polacca, tirato fuori il figlio neonato, ha lasciato il proprio passeggino a un’altra mamma ucraina che dalla guerra era appena arrivata dal valico. In momento così capisco il valore di questo lavoro: per me fotografare significa raccontare, e fermare questi momenti in un’immagine, vuol dire poter far conoscere a tutti queste incredibili storie».

Cosa dicono gli occhi di queste donne?

«Queste donne raccontano e vengono da storie completamente diverse. Hanno tanta paura per i familiari che sono rimasti a combattere, per la sorte del loro Paese, per il futuro dei propri figli. Ma condividono tutte lo stesso sguardo: negli occhi hanno l’orrore. L’orrore della guerra».

Le foto in questo articolo sono di Francesco Malavolta. A lui il nostro grazie. È possibile seguire gli scatti e le storie di Francesco sui suoi profili Facebook e Instagram. Il suo lavoro, e quello di tanti colleghi, è prezioso. Supportiamolo!

Alessandro Venticinque

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