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«Lasciamoci prendere in contropiede da Gesù»

Intervista a monsignor Gallese

Sabato 10 alle ore 10.30 il nostro Vescovo presenterà la sua nuova Lettera pastorale in Cattedrale ad Alessandria ai consigli pastorali e agli operatori che collaborano con le realtà diocesane e parrocchiali. Gli abbiamo chiesto di raccontarcela.

Eccellenza, questa è la sua decima Lettera pastorale. C’è un filo logico che lega questa Lettera alle altre nove?

«C’è un filo pastorale, e anche un filo pedagogico. Mi sono detto: “Beh, potrei fare una Lettera sul Padre, sul Figlio e sullo Spirito Santo”. Sono partito da questa impostazione un po’ teologica… ma intanto pregavo, meditavo la Parola di Dio, e c’erano Parole che facevano irruzione nel mio cuore e nella mia mente, a proposito della nostra Chiesa. Ho proprio sentito che il Signore, dentro alle sue Parole, mi parlava. Niente di straordinario, ma vedevo che la Parola di Dio gettava una luce su alcune questioni diocesane. E ho seguito questa luce, che significa avere un filo non “logico”, ma guidato dalla realtà. D’altronde, chi sono i figli di Dio, se non “coloro che sono guidati dallo spirito di Dio”, usando le parole di San Paolo? Gesù stesso dice una frase che la maggior parte dei cristiani non coglie, ma attribuisce invece allo Spirito Santo: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8). Io amo sintetizzarla così: “Noi siamo vento“».

Quest’anno il vento dove l’ha portata? Con questa Lettera che cosa ci vuol dire?

«Le unità pastorali non sono più procrastinabili. Siamo arrivati a fine corsa con la mappa della Diocesi che avevamo disegnato nel 2013. Allora, con il Collegio Consultori, avevamo cercato di vedere come raggruppare le parrocchie in gruppi sensati per fare pastorale insieme. Quando abbiamo fatto le nomine e gli accorpamenti delle parrocchie, tenevamo un occhio alle realtà e un occhio alla mappa, che ci forniva dei criteri per arrivare a un punto pastoralmente “vivibile”. Le unità pastorali sono uno sviluppo inevitabile di quel lavoro, perché le cose sono andate avanti molto più velocemente di quanto avevamo previsto».

“Venite e vedrete”: a chi rivolge questo invito?

«Prima di tutto ai fedeli, perché è quello che Gesù dice ai suoi primi due discepoli, Giovanni e Andrea. Quello che facciamo adesso, in un momento in cui la storia ci dice che dobbiamo cambiare passo, è un cammino che intraprendiamo e che non si può raccontare prima. Certo, a noi piace pianificare le cose; ma negli anni ho imparato che la pianificazione, oltre ad avere una parte positiva, ha un elemento di ådegli scostamenti pesanti dal reale, e per questo Gesù ci dice di non preoccuparci del domani. Il suo stile è: “Venite e vedrete”. Pensiamo al suo incontro con i primi due discepoli, quando, fermandosi, li prende in contropiede: “Chi cercate?”. E loro: “Maestro dove abiti?”. “Venite e vedrete”. Niente discorsi, niente anticipazioni: solo camminare e vedere. L’esperienza di fede è lasciarsi prendere in contropiede da Gesù Cristo, ed educarsi a reagire con fede».

Ecco, la fede è l’ultimo argomento della prima parte della sua Lettera.

«Dalla Lettera agli Ebrei: “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede” (Eb 11,1). È ciò per cui noi diventiamo cristiani. Per il battesimo viene richiesta la fede della persona, e i genitori, che educano alla fede il loro bambino, se ne fanno garanti. La Cresima sarà la conferma della fede: “Fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. È da lì che parte tutto».

Ma la fede è anche una fiducia che la realtà così come appare, con tuti i suoi problemi, è buona.

«La fede aiuta, però va compresa. Nella Lettera pastorale parlo della fede e delle sue componenti, quella veritativa e quella di adesione a Cristo. La fede esplicita il mio legame con Gesù, perché “siamo giustificati nel sangue di Cristo per mezzo della fede” (Rm 3,25), ci dice San Paolo in una sua sintesi teologica, asciutta ma molto profonda. Intendo dire: se io sono rimasto affascinato da Gesù Cristo, se voglio fidarmi di Lui e seguirLo, allora gli vado dietro. Se non sono rimasto affascinato, nella misura in cui non lo sono, rimango a vivere una vita che è carente di Cristo. Pur facendo una vita di Chiesa, magari… Posso seguire Gesù Cristo perché mi colpisce l’impostazione morale, mi colpisce la sua attenzione ai bisognosi, o perché è il “migliore degli uomini”. Però, il punto vero è la relazione con Lui. L’abbiamo sentito domenica scorsa: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). Nessuno ha il coraggio di dire una cosa di questo genere, perché sarebbe preso per un pazzo. Ma Gesù l’ha detto! Ecco, bisogna vivere questa relazione».

Come ci si educa a questa relazione?

«Questa relazione non è in virtù di un passato che c’è stato, ma è un presente. In questa relazione c’è Dio che ama giocare a nascondino, proprio perché la vita di fede porta con sé una fiducia, cioè una imprendibilità. Un essere sospesi a quel “Venite e vedrete”».

Andrea Antonuccio

Leggi l’introduzione della nuova Lettera pastorale:

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