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Papa Francesco: «Il Signore vi vuole pastori di popolo,e non chierici di Stato»

Viaggio apostolico del Santo Padre  in Lituania, Lettonia ed Estonia [22-25 Settembre 2018]. Incontro con sacerdoti, religiosi e religiose, Consacrati e consacrate, seminaristi

Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio!
[…] Oggi vorrei condividere con voi alcuni tratti caratteristici di questa speranza; tratti che noi – sacerdoti, seminaristi, consacrati e consacrate – siamo chiamati a vivere.
Anzitutto, prima di invitarci alla speranza, Paolo ha ripetuto tre volte la parola “gemere”: geme la creazione, gemono gli uomini, geme lo Spirito in noi (cfr Rm 8,22-23.26). Si geme per la schiavitù della corruzione, per l’anelito alla pienezza. E oggi ci farà bene domandarci se quel gemito è presente in noi, o se invece nulla più grida nella nostra carne, nulla anela al Dio vivente.
[…] Questo gemito deriva anche dalla contemplazione del mondo degli uomini, è un appello alla pienezza di fronte ai bisogni insoddisfatti dei nostri fratelli più poveri, davanti alla mancanza di senso della vita dei più giovani, alla solitudine degli anziani, ai soprusi contro l’ambiente. È un gemito che cerca di organizzarsi per incidere sugli eventi di una nazione, di una città; non come pressione o esercizio di potere, ma come servizio.
[…] Voi, i più anziani di età – come non menzionare Mons. Sigitas Tamkevicius? – sapete testimoniare questa costanza nel patire, questo “sperare contro ogni speranza” (cfr Rm 4,18). La violenza usata su di voi per aver difeso la libertà civile e religiosa, la violenza della diffamazione, il carcere e la deportazione non hanno potuto vincere la vostra fede in Gesù Cristo, Signore della storia.
[…] Infine, guardare a Cristo Gesù come nostra speranza significa identificarci con Lui, partecipare comunitariamente al suo destino. […] Dunque, si tratta di intravedere il mistero del progetto unico e irripetibile che Dio ha per ognuno, per ognuno di noi. Perché non c’è nessuno che ci conosca e ci abbia conosciuto tanto profondamente come Dio, perciò Egli ci ha destinati a qualcosa che sembra impossibile: scommette senza possibilità di errore che noi riproduciamo l’immagine di suo Figlio. Egli ha riposto le sue aspettative in noi, e noi speriamo in Lui.
[…] Quante volte troviamo sacerdoti, consacrati e consacrate, tristi. La tristezza spirituale è una malattia. Tristi perché non sanno… Tristi perché non trovano l’amore, perché non sono innamorati: innamorati del Signore. Hanno lasciato da parte una vita di matrimonio, di famiglia, e hanno voluto seguire il Signore. Ma adesso sembra che si siano stancati… E scende la tristezza. Per favore, quando voi vi troverete tristi, fermatevi. E cercate un prete saggio, una suora saggia. Non saggi perché siano laureati all’università, no, non per quello. Saggio o saggia perché è stato capace o è stata capace di andare avanti nell’amore. Andate a chiedere consiglio. Quando incomincia quella tristezza, possiamo profetizzare che se non è guarita in tempo farà di voi “zitelloni” e “zitellone”, uomini e donne che non sono fecondi. E di questa tristezza abbiate paura! La semina il diavolo. […] Altrimenti, se voi non avete la gioia della vocazione, chi potrà credere che Gesù Cristo è la nostra speranza? Solo il nostro esempio di vita darà ragione della nostra speranza in Lui.
C’è un’altra cosa che si collega con la tristezza: confondere la vocazione con un’impresa, con una ditta di lavoro. “Io mi impiego in questo, lavoro in questo, mi entusiasmo con questo…, e sono felice perché ho questo”. Ma domani, viene un vescovo, un altro o lo stesso, o viene un altro superiore, superiora, e ti dice: “No, taglia questo e va da quella parte”. È il momento della sconfitta. Perché? Perché, in quel momento, ti accorgerai di essere andato per una strada equivoca. Ti accorgerai che il Signore, che ti ha chiamato per amare, è deluso da te, perché tu hai preferito fare l’affarista. All’inizio vi ho detto che la vita di chi segue Gesù non è la vita di funzionario o funzionaria: è la vita dell’amore del Signore e dello zelo apostolico per la gente. Farò una caricatura: cosa fa un prete funzionario? Ha il suo orario, il suo ufficio, apre l’ufficio a quell’ora, fa il suo lavoro, chiude l’ufficio… E la gente è fuori. Non si avvicina alla gente. Cari fratelli e sorelle, se voi non volete essere dei funzionari, vi dirò una parola: vicinanza! Vicinanza, prossimità. Vicinanza al Tabernacolo, a tu per tu con il Signore. E vicinanza alla gente. “Ma, padre, la gente non viene…”. Vai a trovarla! “Ma, i ragazzi oggi non vengono…”. Inventa qualcosa: l’oratorio, per seguirli, per aiutarli. Vicinanza con la gente. E vicinanza con il Signore nel Tabernacolo. Il Signore vi vuole pastori di popolo, e non chierici di Stato! Dopo dirò qualcosa alle suore, ma dopo…
[…] E voi, care suore… Tante volte si vedono suore che sono brave – tutte le suore sono brave –, ma che chiacchierano, chiacchierano, chiacchierano… Domandate a quella che è al primo posto dall’altra parte – la penultima – se nel carcere aveva tempo di chiacchierare, mentre cuciva i guanti. Domandatele. Per favore, siate madri! Siate madri, perché voi siete icona della Chiesa e della Madonna. E ogni persona che vi vede, possa vedere la mamma Chiesa e la mamma Maria. Non dimenticate questo. E la mamma Chiesa non è “zitellona”. La mamma Chiesa non chiacchiera: ama, serve, fa crescere. La vostra vicinanza è essere madre: icona della Chiesa e icona della Madonna. […] E pregate per questo povero vescovo. Grazie!

 

Cattedrale dei SS. Pietro e Paolo a Kaunas (Lituania). Domenica,23 settembre 2018

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