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Nei luoghi di Gesù – «Costruire legami tra la Terra Santa e il mondo»

Tommaso Saltini è il direttore generale dell‘Ats pro Terra Sancta, un’organizzazione no profit che realizza progetti di conservazione dei Luoghi Santi, di sostegno alle comunità locali e di aiuto nelle emergenze umanitarie. L’associazione è presente in Medio Oriente, dove risiedono i frati francescani della Custodia di Terra Santa.

Dottor Saltini, come nasce l’associazione pro Terra Sancta?
«L’associazione diventa ufficialmente operativa nel 2006, per volere dell’allora Custode padre Pierbattista Pizzaballa. A quell’epoca io lavoravo alle Nazioni Unite a Vienna, ma quando padre Pizzaballa mi chiese di andare a vivere a Gerusalemme per far crescere la Ong, che era nata nel 2002 grazie a padre Michele Piccirillo, ho accettato subito. È stata una grande sfida sviluppare un’associazione che all’epoca non aveva alcuna struttura, ma anche un’occasione preziosa di crescita, umana e professionale».

Di che cosa vi occupate?
«Tutto il nostro fare ha il desiderio di favorire e costruire legami tra la Terra Santa e il mondo. In particolare, noi interveniamo in tre grandi aree: Conservazione e sviluppo, Educazione ed Emergenza in otto paesi del Medio Oriente, fatta eccezione dell’Iraq, raggiungendo più di 3 milioni di beneficiari. Siamo impegnati ad accrescere la consapevolezza del valore del patrimonio culturale in tutte le comunità locali, comprese quelle ebraiche e musulmane. Le attività di recupero e valorizzazione sono inoltre opportunità per formare lavoratori e artigiani qualificati, occupare giovani, favorendo il coinvolgimento delle donne e delle persone con disabilità, e generare fonti di reddito attivando iniziative socio-culturali legate al turismo sostenibile e a nuove forme di accoglienza. I progetti dell’area Educazione e Assistenza sostengono i più poveri, focalizzando l’attenzione sull’educazione delle nuove generazioni, elemento fondamentale per poter sperare in un futuro di pace e di sviluppo. Sono stati realizzati diversi progetti, sia direttamente, sia in collaborazione con opere di carità in Terra Santa, per assistere i più deboli, con attenzione ai bambini disabili e alle donne con difficoltà, e formare la nuova generazione di giovani. Sosteniamo i bambini con disabilità, anziani, famiglie povere con particolare attenzione alle donne. Sul fronte emergenze, in particolare in quella regione indicata da noi come “Regione di San Paolo”, cioè Libano, Siria e Giordania, i nostri progetti a sostegno della popolazione riguardano la distribuzione di beni di prima necessità, incluse le medicine e, ove possibile, contributi alla ricostruzione di quanto è stato distrutto dalla guerra, per favorire la rinascita e lo sviluppo della società civile».

Che cosa avete a cuore, innanzitutto?
«Innanzitutto le persone. Tutte e ciascuna. Non solo quelle che aiutiamo, ma anche coloro a cui chiediamo un sostegno. Perché sostenere quei luoghi rappresenta, secondo noi, un’opportunità: partecipare all’opera dell’Associazione pro Terra Sancta significa amare la Terra Santa nei luoghi e nelle persone. Significa vivere un legame duraturo con i Luoghi Santi e le antiche comunità cristiane, coinvolgendosi in tutti gli aspetti religiosi, culturali e sociali. E questo non significa solo fare l’elemosina, ma inserirsi in una tradizione importante e ricca. Significa consegnare a questa terra la speranza di un domani più bello e più giusto».

Quali sono le difficoltà dei cristiani in quei luoghi?
«I cristiani vivono le difficoltà di tutti. Forse, proprio perché minoranza, vivono una discriminazione tra le altre due culture, quella ebraica e quella musulmana. Sono solo l’1% dell’intera popolazione, e con dolore assistiamo a un continuo esodo verso altri Paesi».

Gerusalemme significa “città di pace”. Ma ci sarà mai vera pace in Terra Santa?
«Personalmente, credo che san Giovanni Paolo II abbia usato le parole più adatte: “Non c’è pace senza giustizia, e non c’è giustizia senza perdono”. Proprio riferendosi a questa terra, il Papa aveva dato un elemento chiave, che faccio mio: se i due popoli in lotta non impareranno a perdonarsi, difficilmente si potrà arrivare a una soluzione condivisa».

Che cosa la colpisce di più della Terra Santa?
«Ogni volta che torno in Terra Santa il fascino di quei luoghi mi aiuta a immedesimarmi di più con la vita di Gesù. Le pietre che calpesto, i Luoghi Santi che vedo sempre intorno a me, tutto costringe a chiedermi che senso abbiano per la mia vita, e allora il rapporto con Gesù diventa più familiare, più concreto. Mi accorgo che il cristianesimo non è una storiella, ma un fatto concreto, accaduto in luoghi precisi e attraverso circostanze ben definite».

Che cosa la sostiene di più nel suo lavoro?
«Più di tutto la fiducia con cui mi ha sempre incoraggiato padre Pizzaballa. Gli incontri con lui, le cene assieme. La paternità che ha accompagnato il nostro lavoro. E oggi, naturalmente, mi impressiona vedere la stessa paternità, la stessa guida, nel suo successore padre Francesco Patton. “Vai avanti, sereno” è stato l’incoraggiamento che ho sentito più spesso. “Sereno”, perché abbiamo tutti chiaro che il nostro compito non è quello di salvare quella terra: ma attraverso il nostro piccolo contributo possiamo essere segno di speranza per tutti. Anche se l’esito delle nostre azioni non è in mano nostra».

Andrea Antonuccio

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