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Allora vedranno il Figlio… – il commento al Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco

Commento al Vangelo di Domenica 18 novembre 2018
XXXIII domenica del Tempo Ordinario

In questa 33a domenica del tempo ordinario siamo quasi giunti al termine dell’anno liturgico, e la Chiesa ci fa volgere uno sguardo di fede verso la fine dei tempi e di tutte le cose, con la venuta finale di Cristo. Utilizzando toni apocalittici la Parola di Dio ci presenta il ritorno del Figlio dell’uomo sulle nubi, con grande potenza e gloria: l’universo intero sarà sconvolto dalla venuta del Salvatore, che porterà la salvezza di Dio. Parlando della “fine”, la Scrittura ci offre infatti un messaggio di salvezza, non di terrore: «In quel tempo sarà salvato il tuo popolo» (Prima lettura); «Il Figlio dell’uomo radunerà i suoi eletti dai quattro venti» (Vangelo).

Pur nella drammaticità letteraria dei testi biblici che prevalgono nella liturgia, la Chiesa vuole infatti celebrare la vittoria di Cristo: del bene sul male, della vita sulla morte, dell’eternità sul tempo che passa e si logora. È l’attesa dei cristiani verso i traguardi che ci stanno davanti che viene stimolata in queste settimane. È la cosiddetta dimensione “escatologica” del nostro vivere che viene riportata in primo piano, una tensione verso «la vita del mondo che verrà» preparata per i suoi dal Signore Gesù. Il brano di Vangelo è solo una piccola parte, quella saliente, del lungo discorso “escatologico” riportatoci dal Vangelo di Marco.

Prendendo spunto dalla meraviglia di uno dei suoi discepoli di fronte alla maestosità del tempio, Gesù risponde: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta» (Mc 13,2), annunciando così la fine del tempio e della Città santa, segni premonitori della fine di tutte le cose e annuncio della “parusia”, cioè del ritorno glorioso del Signore. Non c’è però tanto l’annuncio di cataclismi al centro del Vangelo, quanto piuttosto la venuta del Figlio dell’uomo. Le tribolazioni, infatti, passeranno, persino «il cielo e la terra passeranno», ma le parole di Cristo no, nonpasserà la sua promessa di vita e salvezza per tutti gli uomini.

Questa attesa, per i cristiani è una tensione piena di fiducia

Le profezie sulla fine del mondo trovano sempre – anche ai nostri giorni – avidi ascoltatori. Alcune sètte ne fanno una propria peculiarità, oggi come nei primi tempi della Chiesa. Il Vangelo combatte questa curiosità del “quando”, affermando che nessuno conosce né il giorno né l’ora. La cosa più sorprendente è che lo stesso Gesù afferma di ignorarne il momento: «Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre». Allo stesso modo, la Scrittura ci lascia nell’ignoranza sul “come” della risurrezione, su cosa accadrà, accontentandosi di metafore e di immagini.

Per esempio leggiamo che «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento» (Prima lettura). In questa attesa, nella vita cha ad ognuno è data da vivere, siamo chiamati da Cristo a restare in attesa: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento». Così occorre essere sempre vigilanti, come scritto nei versetti che seguono il Vangelo di questa domenica e che concludono il discorso in maniera esplicita: «Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati».

Questa attesa, per i cristiani, non è andare incontro ad un futuro ignoto e indefinito, ma una tensione piena di fiducia e di speranza in Cristo, espressa alla perfezione dall’acclamazione liturgica: «Proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta». L’attesa del Signore non è dunque un disimpegno dalle opere e dal lavoro di ogni giorno, “tanto non possiamo farci nulla”, ma è una ragione di più per rendere noi stessi, le cose e il mondo intero più degni di far parte del Regno definitivo di Dio.

A cura di don Stefano Tessaglia

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