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Sicurezza sul lavoro – Incidenti? Questione di prevenzione e valori

In occasione della Giornata nazionale della Sicurezza nelle Scuole di giovedì 22 novembre, l’Anmil, Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, e la rivista “Okay!” hanno presentato il concorso per gli istituti scolastici “Primi in sicurezza”. Il tema di quest’anno è “A ciascuno il proprio outfit. La prevenzione degli incidenti sul lavoro passa anche attraverso ciò che indossiamo”, per far riflettere sull’importanza dell’uso dei Dispositivi di protezione individuale.

Abbiamo così voluto incontrare Francesco Margaria per conoscere la sua storia. Francesco, nel 1981, quando aveva 18 anni ha subito un incidente sul posto di lavoro che gli è costato l’amputazione del terzo medio dell’avambraccio destro. Dopo un anno dal suo infortunio entra come impiegato all’Amag, diventa anche dirigente Anmil e membro della Fand, Federazione associazioni nazionali disabili. E intanto si sposa e ha tre figli. Grazie alla sua preziosa testimonianza, da molti anni ormai porta ai ragazzi delle scuole la sua esperienza per sensibilizzare gli studenti sul tema.

Francesco, perché nel 2018 in Italia si muore ancora sul posto di lavoro?
«Bella domanda… perché siamo passati da un’epoca in cui si è dato valore alla persona a un’epoca in cui contano solo i pezzi da produrre o in quanto tempo riesci a fare un lavoro. Questo vale soprattutto per le piccole aziende, mentre invece nelle grandi aziende la sicurezza viene messa in primo piano, perché chi si fa male non produce».

Di chi sono le responsabilità?
«Più che responsabilità parlerei di valori, che adesso si stanno perdendo. Sarebbe importante lavorare con delle testimonianze che permettano di capire la realtà. È fondamentale informare sia i datori di lavoro che i lavoratori».

Come vivono nel mondo del lavoro i disabili?
«La 104 (la legge del 1992 che permette numerosi benefici fiscali, sociali ed economici per le persone affette da handicap e per i loro familiari, ndr) viene vista purtroppo come un privilegio per il disabile, scatenando così una guerra tra “poveri”. E questo va a discapito dei veri disabili che vogliono rimettersi in gioco. Adesso sembra più importante scovare un falso invalido che aiutare chi disabile lo è realmente».

Le denunce di infortunio mortale nel periodo gennaio-marzo 2018 sono state 212, l’11,58% in più rispetto al 2017. Si parla di un netto aumento.
«Nel 2017 i numeri erano inferiori perché c’era una forte crisi, invece adesso con una maggiore richiesta di lavoro sono aumentate di conseguenza anche le vittime. Questo vale soprattutto su lavori che riguardano gli appalti, dove per spendere di meno si investe poco o nulla sulla sicurezza».

Allora in che modo si può fare prevenzione?
«Ci dev’essere un’educazione al lavoratore, è innegabile che ci sia una disattenzione di chi lavora a quanto è importante la sicurezza. L’uomo comprende solo quando prova sulla sua pelle, per questo si cambia completamente lo sguardo dopo un infortunio. Purtroppo non si risolve nulla con le leggi, è un discorso di cultura, bisogna aprire ancora di più lo sguardo».

In questo contesto, che ruolo gioca l’Anmil?
«È presente in tutta Italia e tutela le persone ammalate, infortunate sul lavoro e le famiglie “vedove”. Nella provincia di Alessandria sono circa 7 mila le vittime di incidenti sul lavoro o di malattie professionali. Da qualche anno c’è anche un settore che cerca di inserire nell’ambito sportivo le vittime: si chiama “Anmil Sport”. Molte persone hanno capito che non sono da buttare via, ma che possono ripartire, anche grazie alla pratica sportiva».

Cosa direbbe a chi, dopo l’infortunio, non ha la fortuna di rialzarsi?
«Cercare di guardarsi intorno e di non pensare di essere finito. Il messaggio che passa al giorno d’oggi è che devi essere bello, capace di far tutto e perfetto. Ma se hai a che fare con delle persone vive nulla è impossibile. Per esempio, io ho avuto la fortuna di avere degli amici che non mi hanno fatto pesare che, dentro la borsa del calcetto, affianco agli scarpini avevo un braccio finto (sorride, ndr)».

Alessandro Venticinque

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