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Un grande annuncio di riscatto e liberazione

La meditazione pasquale della pastora delle Chiese metodiste Lucilla Peyrot

Fattosi sera, venne un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Presentatosi a Pilato chiese il corpo di Gesù…” (vv. 57- 58). Fra la morte di Gesù Cristo sulla croce del Golgota e la resurrezione la mattina di Pasqua scorre un “tempo di mezzo” su cui di solito i predicatori non si soffermano nei sermoni della settimana santa.

A ragione si medita con attenzione sull’ultima cena del Giovedì santo, sulla sofferenza del Salvatore il Venerdì santo, le sue ultime parole, le persone presenti ai piedi della croce. E poi si passa alla mattina di Pasqua, quando il predicatore mette in luce la gioia inaudita del messaggio della resurrezione. Invece in questo anno particolare segnato anche in occidente, anche nel nostro Paese da tanta sofferenza e disorientamento per la pandemia, quel “tempo di mezzo” di cui parlano gli evangeli attira in modo particolare la nostra attenzione. Sono le ultime ore del venerdì santo, un tempo di lutto, che Giuseppe di Arimatea occupa a ottenere il corpo di Cristo e a preparare la sua sepoltura.

È un tempo in cui vanno compiute alcune tristi ma necessarie azioni, ma in fretta, per ottemperare sia alla legge del sabato ebraico, sia alla volontà di Pilato di chiudere rapidamente la vicenda di Gesù, che ha disturbato il governatore romano nei suoi rapporti con le autorità religiose d’Israele, come raccontano gli atti del processo riferiti dai vangeli. E’ un tempo in cui il gruppo dei dodici discepoli è disperso e diviso ed essi non possono avere il corpo del loro Maestro, né celebrare il suo funerale.

È un tempo in cui il dolore viene vissuto in solitudine, nel segreto dei cuori e delle case. Matteo concorda con gli altri vangeli sulle modalità della morte di Gesù, della sepoltura e delle apparizioni a Pasqua, tuttavia riferisce alcuni particolari originali, che hanno luogo nel “tempo di mezzo” fra venerdì sera e la mattina di Pasqua. Sembra che per Matteo proprio quel tempo di sospensione fra croce e resurrezione possa essere molto significativo, e rappresenti in modo esemplare i tanti “tempi di mezzo” della vita, i tempi difficili, di prova, di attesa, di resistenza, in cui facciamo tutto ciò che possiamo per vivere dignitosamente e giustamente la “anormalità quotidiana”, come ha detto di recente un medico parlando del tempo presente, come fa Giuseppe di Arimatea. Nel corso dei secoli il personaggio di Giuseppe di Arimatea ha suscitato molte leggende.

I racconti evangelici sono invece molto sobri su di lui, pur riferendo le cose essenziali. Era un eminente e facoltoso cittadino di Gerusalemme, membro del Consiglio ebraico, come Nicodemo (Ev. Giovanni 3) simpatizzante, anzi discepolo occulto. Giuseppe si può definire un “uomo di frontiera”, che grazie al suo prestigio può accedere a Pilato e chiedere il corpo di Gesù per la sepoltura. Egli non teme di compromettersi con il condannato, ed ha evidentemente degli elementi di autorevolezza da mettere in campo presso le autorità religiose ebraiche e imperiali romane.

Dietro l’affermazione del Credo apostolico, “fu sepolto”, si allude anche al gesto pietoso dell’“uomo di frontiera” Giuseppe di Arimatea, come dietro al “patimento” di Cristo sta il governatore Ponzio Pilato. Pare che l’umanità non possa essere divisa nettamente fra “perfettamente santi” e “perfettamente dannati”, ma ci siano tanti uomini e donne di frontiera, di cui Dio si serve per portare avanti i suoi piani, come riteniamo da credenti. Giuseppe è un discepolo occulto, ottiene il corpo di Gesù, salvandolo dalla fossa comune a cui era destinato come condannato a morte, lo avvolge in un lenzuolo pulito e lo depone nella sua tomba nuova, come se fosse un fratello di sangue, un membro della sua famiglia.

La sepoltura si conclude in fretta, senza riti espressi esteriormente, una gran pietra sbarra il sepolcro e il tutto si chiude con una frase asciutta: “e (Giuseppe) se ne andò” (v. 60). Si è fatto tutto ciò che umanamente si poteva fare. Giuseppe ancora ignora ciò che Dio sta per operare con la resurrezione di suo Figlio. – “Dopo il sabato, verso l’alba del primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l’altra Maria andarono a vedere il sepolcro.

Ed ecco si fece un gran terremoto…e per lo spavento che ne ebbero le guardie tremarono e rimasero come morte” (28: 1-4). L’evangelista Matteo aggiunge un ulteriore particolare. Gesù rende inquieti i suoi avversari, i capi religiosi di Gerusalemme, anche da morto: nel timore che i suoi discepoli possano trafugare il suo corpo e diffondere la notizia di una sua resurrezione, vengono poste delle guardie a custodia della tomba. Ma l’azione di Dio vanifica tutti gli ostacoli alla resurrezione: le leggi che vincolano ciò che è consentito e ciò che è vietato: il corpo di Gesù non è più fonte di contaminazione, è il Risorto, Signore della vita.

Le guardie, emblema di forza e di coraggio, all’apparizione dell’angelo, cadono nel terrore più profondo e svengono. La grande pietra in un attimo viene rotolata.  Il lutto e la paura delle discepole si muta in timore per la rivelazione divina ricevuta e grande gioia: “Il mio cuore esulta nel Signore…l’arco dei potenti è spezzato, ma quelli che vacillano sono rivestiti di forza” (1 Samuele 2: 4). Pasqua è anche un grande annuncio per gli umili di riscatto, di liberazione dalle sofferenze.

-Tutti i racconti evangelici concordano sul fatto che nessun umano ha visto uscire Cristo risorto dalla tomba, si riferiscono i fenomeni straordinari che accompagnano l’evento, si constata il vuoto del sepolcro, si riferisce l’esperienza delle prime testimoni, le donne discepole, che ascoltano le parole dell’angelo, che incontrano in seguito Gesù risorto: nessun umano controlla la linea di frontiera fra la morte e la resurrezione. Essa è nella mani di Dio. Abbiamo bisogno delle parole dell’angelo per comprendere il vuoto del sepolcro di Gesù come segno che è risorto. Abbiamo bisogno dell’evangelo e della potenza dello Spirito Santo per credere.

Secondo alcune consuetudini pasquali cristiane, i fedeli si riuniscono sul finire della notte per celebrare la Pasqua. Come delle ombre compiono un cammino nel buio fino al sorgere del giorno, per rivivere l’esperienza delle donne evangeliche. Nel racconto le due Marie appaiono come ombre silenziose, dolenti e fedeli che accompagnano e guardano Gesù morire in croce da lontano; in seguito siedono fuori della tomba svuotate di forze mentre Giuseppe di Arimatea agisce; aspettano che passi il sabato e si recano alla tomba per piangere la mattina di Pasqua, ed infine corrono ad annunziare la buona notizia della resurrezione.

Queste prime testimoni rappresentano, anche con i loro spostamenti, i cedimenti e i momenti di buio dei credenti e all’opposto la forza della fede, a volte debole e ripiegata, a volte alta e luminosa. Possa la buona novella di Pasqua nutrire e riaccendere la nostra speranza anche in questo anno particolare. Ci dia il Risorto la fede, la pazienza e la costanza dei credenti che ci hanno preceduto, spesso lontani e geograficamente dispersi, a volte in prigione a motivo della fede, ma vicini gli uni agli altri e in comunione con Dio nello Spirito e nell’amore fraterno.

Lucilla Peyrot

Pastora delle chiese metodiste
di Alessandria, Bassignana e San Marzano Oliveto

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