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Sacro Cuore di Gesù, luogo di misericordia

Intervista a padre Giorgio Noè

Dopo le celebrazioni per il Corpus Domini, venerdì 16 giugno al Santuario del Sacro Cuore di Gesù (in via S. Francesco d’Assisi 13, Alessandria) verrà celebrata la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Una ricorrenza che quest’anno cade a pochi giorni di distanza dalla festa di Sant’Antonio del 13 giugno. Abbiamo chiesto a padre Giorgio Noè (nella foto qui sotto), direttore spirituale del Seminario diocesano, di parlarcene.

Padre, come stanno insieme le due ricorrenze?

«Con l’esperienza della misericordia. Solennizzare il Sacro Cuore di Gesù significa puntare al centro di ciò che Cristo ci ha lasciato. Il cuore è la sede delle decisioni, quindi adorare il Sacro Cuore di Gesù significa prendere sempre più coscienza della scelta di usare la misericordia, che raffiguriamo con questo cuore trafitto, da cui sgorgano l’acqua e il sangue».

C’è un collegamento con la solennità del Corpus Domini?

«Certo, perché l’Eucarestia ci rialza ogni volta che cadiamo, ed è il segno concreto della misericordia di Dio. Questa misericordia la contempliamo non tanto in modo astratto, come qualcosa che sta in Cielo, ma deve trovare una risposta da parte nostra, una concretizzazione. Che cosa significa la misericordia di Dio, se non la usiamo? La misericordia donata la dobbiamo donare ai nostri fratelli, e investe tutte le dimensioni della persona, spirituale e umana. Per questo festeggiamo Sant’Antonio in modo così sentito: il pane di Sant’Antonio è il segno della misericordia nei confronti dei fratelli. Mi piace sottolineare come Sant’Antonio venga ritratto con Gesù Bambino in un braccio e con il pane nell’altro. Quasi a rendere evidente che la misericordia di Dio è Gesù che si fa pane, e ognuno di noi è chiamato a condividerlo».

Sant’Antonio ha un legame profondo con gli alessandrini.

«Il legame con il pane di Sant’Antonio è legato al miracolo di Tommasino, che nella tradizione francescana è diventato il segno della carità concreta che si dona ai poveri. La gente ama la figura di Antonio non solo per i moltissimi miracoli che ha compiuto e ancora oggi compie, ma si rivolge al Santo per diventare uno strumento di carità nei confronti dei bisognosi. Nella nostra Chiesa abbiamo una piccola edicola di Sant’Antonio dove arrivano molte offerte destinate ai poveri. Una devozione, questa, legata all’attenzione, alla carità nei confronti degli ultimi, dei più bisognosi».

Qual è il tuo legame con il Sacro Cuore di Gesù?

«Devo partire dalla mia infanzia (sorride). Quando mia madre mi accompagnava all’asilo le chiedevo sempre di passare prima dalla chiesa: andavo davanti alla statua del Sacro Cuore e parlavo con Gesù. Questi momenti mi sono rimasti impressi ancora oggi: hanno segnato la mia esistenza».

Anche la tua vita di fede?

«Probabilmente sì. E oggi trovarmi a vivere in un luogo in cui la presenza del Sacro Cuore è forte mi impone una riflessione su che cosa nella mia vita abbia significato il Cuore misericordioso di Gesù. E non posso non riconoscere di aver fatto esperienza della misericordia di Dio».

Dove l’hai vista, la misericordia di Dio?

«L’ho vista nei momenti in cui sono andato in crisi, in cui ho vissuto lontano dal Signore. La vedo nelle persone che cercano Dio, negli ultimi che bussano alla nostra porta. La misericordia di Dio è silenziosa, discreta, palpita silenziosamente dentro i nostri giorni, proprio come il cuore nel corpo umano, ma chiede di essere ascoltata, accolta e condivisa. Io faccio esperienza concreta della misericordia anche nella fraternità di cui faccio parte, in questa continua tensione nell’accoglierci fraternamente come un dono, con le nostre fragilità e limiti. Anche qui siamo chiamati a essere segno della misericordia di Dio. In fondo, essere sacerdoti del Sacro Cuore misericordioso significa vivere un aspetto importante del francescanesimo. Perché Francesco, ce lo ricorda nel testamento, usò misericordia nei confronti dei lebbrosi, ed è proprio per questo che il Signore cambiò la sua vita. San Francesco ci insegna che la misericordia sta alla base della nostra conversione, dei nostri rapporti interpersonali, perché Egli ha una relazione di misericordia con noi».

Vivere così non è certamente facile…

«Certo, è un cammino faticoso, perché facciamo i conti con la nostra umanità che ha parametri differenti nel valutare persone e situazioni. Ma credo sia fondamentale per noi tutti tornare, ogni giorno, in ginocchio davanti a questo Cuore ricco di misericordia per vivere quello che Gesù dice nel Vangelo: “Ora andate e imparate che cosa significhi: voglio misericordia e non sacrificio”. Più ci fermiamo davanti al Cuore di Gesù, più scopriamo la bellezza di essere cristiani. Contempliamo il cuore di Gesù quotidianamente nell’Eucarestia, è vero, ma forse dimentichiamo quanto sia importante fermarsi per ringraziare e offrire a questo Cuore tutta la nostra vita».

Come riconosciamo chi ha fatto esperienza di misericordia?

«Sono persone che riconosci dagli occhi, ispirano fiducia, non fai fatica ad aprire loro il cuore. Per noi è davvero importante il servizio delle confessioni nel Santuario, proprio perché facciamo riferimento a figure come Leopoldo Mandic o Padre Pio da Pietrelcina, apostoli della misericordia nel confessionale, al quale la gente apriva il cuore perché aveva bisogno di misericordia e sapeva di trovarla. Pensa che a San Leopoldo veniva contestato il suo essere troppo “buono” in confessionale…».

Qual è la differenza tra misericordia e buonismo?

«Il buonismo si ferma lì, non ti aiuta a comprendere l’errore e a crescere. Con la misericordia ti accompagno, sono accanto a te, mi faccio carico del tuo peccato, delle tue fragilità, per aiutarti a crescere. Gesù dice: “Vai e non peccare più”. Non ci risolve solo un problema, ma pone in noi la curiosità e la possibilità di vivere meglio. Ci apre un nuovo sguardo su una vita migliore, per vivere appieno la sua misericordia».

Alessandro Venticinque

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