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Festival della Parola

A tutti gli amici residenti nel territorio delle parrocchie di San Pio V, Cuore Immacolato di Maria e dei Santi Apostoli, pace e bene. Le nostre comunità parrocchiali, unitamente all’Istituto delle Suore Immacolatine di via Tortona, attraverso questo numero di Voce Alessandrina vi presentano un’iniziativa che intendono realizzare nei prossimi tre mesi.

È un percorso che definiamo missionario, anche se non nel senso classico del termine. Grazie a tutta la redazione di Voce Alessandrina per la collaborazione e l’ospitalità. Questo è anche un modo per farvi conoscere e, speriamo apprezzare, il nostro settimanale diocesano. Come sapete la vita della comunità cristiana ha al centro la celebrazione Eucaristica della domenica, giorno del Signore e primo giorno della settimana. Stupisce come molti battezzati e cresimati “dimentichino” che il Signore Gesù ha lasciato detto: «Fate questo in memoria di me», riferendosi proprio alla cena pasquale, cioè alla Messa. Il terzo comandamento dice: «Ti ricorderai del giorno di sabato per santificarlo» e per noi è la domenica giorno della risurrezione di Gesù. Il libro degli Atti degli apostoli ci ricorda che gli stessi Apostoli erano assidui nella preghiera e nella frazione del pane (la Messa – At 2, 42).

Per questo dobbiamo riflettere sul valore della celebrazione della domenica. Il giorno del Signore non è solo il giorno del riposo, ma il giorno della Festa cioè dell’incontro con il Signore nella Comunione con Lui e con i fratelli e le sorelle della comunità. È lì che scopriamo il valore di essere Figli di Dio e Fratelli in Cristo, è lì che scopriamo di essere molto più preziosi di quello che facciamo. Per questo, in fondo a questa pagina, vi ricordiamo gli appuntamenti e gli orari delle celebrazioni. Nella seconda Lettera che l’apostolo Paolo scrisse al suo collaboratore Timoteo al capitolo 1 versetto 6 leggiamo: «Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza. Non vergognarti dunque della testimonianza da rendere al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio» (2Tim 1, 1 – 8).

Parole toccanti che ci chiedono di ravvivare il dono della fede che abbiamo ricevuto proprio dalle mani di un successore degli Apostoli, il Vescovo. Per questo, con i consigli pastorali, i catechisti e tutti i nostri collaboratori abbiamo deciso di proporre a tutti voi un tempo di preghiera e di “missione”. Pregare insieme, leggere e studiare la Parola di Dio con la Chiesa depositaria della Santa Tradizione, celebrare l’Eucarestia per dare testimonianza della nostra fede. Questa è la proposta che si concretizza nella seconda edizione del Festival della Parola dal titolo “Ravviva il dono di Dio che è in te…”. Dal 7 ottobre 2018 al 6 gennaio 2019, un percorso rivolto a cambiare noi, per ritrovare la gioia che la fede cristiana porta nella nostra vita e che ha bisogno di essere ravvivata. Per comprendere il significato del titolo che diamo al nostro percorso, ci facciamo aiutare da alcune considerazioni che l’allora cardinal J. Ratzingher fece nell’omelia della Messa per l’elezione del Papa del 18 aprile 2005.

Non ci interessa essere originali e pensiamo che il cardinale non si offenda se “copiamo” e facciamo nostre le sue parole. È il momento di affrontare in modo serio la situazione senza paura di essere difficili. Dobbiamo ritrovare il coraggio e la franchezza di chi, Vangelo alla mano, sa dire “sì” quando è “sì” e “no” quando è “no” (Mt 5, 37).
«Diventare adulti nella fede». Ecco come il cardinale affronta la questione: «In che cosa consiste l’essere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: “Significa essere sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina” (Ef 4,14)». Una descrizione molto attuale! Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero. La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo a un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore.

Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. «Adulta» prosegue il cardinale «non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo». È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede – solo la fede – che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito, in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde, una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità è cieca; la verità senza carità è come “un cembalo che tintinna”(1 Cor 13, 1).

Carissimi fratelli e sorelle nella fede, tante volte sentiamo di essere – come è vero – soltanto servi inutili (cf Lc 17, 10). E, ciò nonostante, il Signore ci chiama amici, ci fa suoi amici, ci dona la sua amicizia. «Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici» (Gv 15, 15). Ci rivela il suo volto, il suo cuore. Ci mostra la sua tenerezza per noi, il suo amore appassionato che va fino alla follia della croce. Si affida a noi, ci dà il potere di parlare con il suo io: «Questo è il mio corpo», «io ti assolvo». Affida il suo corpo, la Chiesa, a noi. Affida alle nostre deboli menti, alle nostre deboli mani la sua verità – il mistero del Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; il mistero del Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3, 16). Ci ha reso suoi amici, e noi come rispondiamo? Dobbiamo (dovremmo!) essere animati da una santa inquietudine: l’inquietudine di portare a tutti il dono della fede, dell’amicizia con Cristo.
In verità, l’amore, l’amicizia di Dio ci è stata data perché arrivi anche agli altri. Abbiamo ricevuto la fede per donarla ad altri.

Con affetto
Madre Odilla,
don Silvano
e don Giuseppe
unitamente ai catechisti,
ai Consigli pastorali
e a tutti i collaboratori

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