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Don Egidio Deiana: «I giovani non sono il problema»

Don Egidio Deiana, 60 anni compiuti, è arrivato ad Alessandria nel settembre del 2018. La maggior parte della sua esperienza rima di arrivare qui è stato a Cascine Vica, una frazione di Rivoli.

Chi è don Egidio?
«Sono nato in Sardegna, nel paese di Ardauli. Sono arrivato in Piemonte dopo le scuole elementari, a Penango, vicino a Moncalvo. Qui insieme ad altri miei compaesani ho iniziato gli studi nelle case di formazione salesiane. E così sono diventato salesiano nel 1968, con una vocazione che ho capito strada facendo».

Poi l’ordinazione…
«Sono stato ordinato il 14 agosto 1981 da monsignor Giuseppe Pisano, vescovo di Ozieri».

Cosa ha fatto scattare la sua vocazione?
«In prima liceo un giovane chierico salesiano, durante la preparazione del carnevale, mi fece questa provocazione: “Quand’è che diventi salesiano?”. E mi fece capire che quella poteva essere la mia strada. Mi disse: “Don Bosco diceva di cercare la propria vocazione laddove si trova la gioia più piena”».

Oggi è ancora vivo il carisma di don Bosco?
«Il carisma di don Bosco è sempre lo stesso, perché lo Spirito Santo non si rimangia niente. Spetta a noi saperci mettere in sintonia e conoscerlo. Un po’ il compito che avevo al Colle, dove l’ho riscoperto e l’ho potuto comunicare e condividere con i gruppi che venivano in visita. Grazie a queste esperienze mi sono detto: con don Bosco ci troviamo di fronte a un gigante».

Che cosa può dire don Bosco al mondo di oggi?
«Per lui il bene delle anime era fondamentale. Quando parlava di questo bene lo intendeva a 360°. Semplifico con una frase che don Bosco diceva ai ragazzi: “Vi voglio felici nel tempo e per l’eternità”. Felici nel tempo, qui sulla terra, perché le aveva studiate tutte: l’oratorio, il gioco, il teatro e il laboratorio professionale. Ma perché siate felici per sempre don Bosco indica la strada: quando tra voi e Gesù c’è una sintonia fortissima, alimentata anche dalla comunione e dalla confessione. Questo vale ancora oggi, soprattutto per quelli che si sentono più fragili e dimenticati. Io ho lavorato per anni all’oratorio e ai laboratori professionali, e quando si fa un “gioco di squadra” occorre anche il contatto personale. Capire e individuare, anche nel più “sfasciato”, il seme di bene che è una traccia dell’immagine e somiglianza di Dio in ogni persona».

Quindi vale anche per i giovani “problematici”…
«I ragazzi non sono il problema. Se li vediamo come un problema è finita. Loro vivono nei problemi, in situazioni difficili, ma don Bosco ci ha insegnato a non perdere mai la fiducia. Lui affidava tutti i suoi ragazzi a Dio. C’è un’espressione molto bella di san Giovanni Paolo II, nell’enciclica “Redemptoris Missio”, che dice: “Quando un missionario arriva in un Paese dove il Vangelo non è mai arrivato, lui arriva ma non è la prima volta della presenza di Dio. Lì lavora già lo Spirito Santo”. Queste riflessioni fanno capire che, come don Bosco rivelava, ogni passo è ispirato dall’alto. Quando sei consapevole di questo, lavori e vivi con più serenità. Prima che a te educatore o genitore, la vita di quel ragazzo sta a cuore al Buon Dio, e sulla Croce c’è salito per quello».

Come si può educare oggi?
«L’educazione è una cosa di cuore, perché bisogna arrivare al cuore dei ragazzi. Ma bisogna arrivarci in modo buono, e la chiave per aprire il cuore di ogni persona ce l’ha solo Dio. Se tu, educatore o genitore, hai confidenza con il Buon Dio, allora puoi entrare nel cuore del ragazzo. Poi da lì parte un cammino, fino ad arrivare anche alla santità. E questo è quello che sicuramente faceva don Bosco».

Andrea Antonuccio

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