Home / Alessandria / Cultura / Alla scoperta di L’incredulo senza scusa

Alla scoperta di L’incredulo senza scusa

nella Biblioteca storica diocesana del seminario

“L’incredulo senza scusa” è il titolo di un libro tutt’altro che raro edito nel 1690 a Firenze dove l’autore, il padre gesuita Paolo Segneri (ritratto nel disegno al tratto a fianco), cerca di mostrare scientificamente quanto siano assurde le teorie dell’ateismo e a supporto di questo aggiunge il sottotitolo: Dove si dimostra che non può non conoscere quale sia la vera religione, chi vuol conoscerla.

Primogenito di 18 fratelli il Segneri nacque a Nettuno il 21 marzo 1624 da un’antica e nobile famiglia e fu affidato, sin da bambino, ai gesuiti che fecero di lui un grande uomo di cultura. Nei suoi studi emerge una notevole padronanza delle scienze e della retorica e giustamente può essere considerato il migliore tra gli oratori italiani del tempo. Uomo di lettere partecipò alla stesura del Vocabolario della Crusca. Scrisse diversi libri che ebbero grande fortuna nell’ambiente scientifico ed ecclesiastico con numerose tirature ed edizioni. Testimonianza della straordinaria diffusione sono i quasi cento libri che noi possediamo da lui scritti. La sua onestà intellettuale lo portò a scrivere una severa critica all’autobiografia di Juan de Palafox y Mendoza, che fu considerata così importante da bloccare il processo di beatificazione di questo fino al 2011.
Il Segneri morì a Roma, il 9 dicembre 1694.

De “L’incredulo senza scusa” possediamo ben cinque libri di edizioni diverse:
1690 a spese di Casablanca-Fontana e tip. Zappata in Torino. Fondo Parrocchia Felizzano. Rilegatura in pelle con tagli spruzzati. Marca tipografica.
1690 tip. Baglioni in Venezia. Legatura in pergamena rigida.
1728 tip. Baglioni in Venezia. Legatura in pergamena rigida con tagli spruzzati azzurri. Fondi di possesso: Cappuccini di Venezia (fr. Mansueto da Verona), Dadani Antonio arciprete di Castelrotto,
1738 tip. Baglioni in Venezia. Fondo Parrocchia Pietra Marazzi. Legatura in pelle e carta marmorizzata blu. Fondo di possesso sac. Pio Vincenzo Calleri-Gamondi parroco di Pietra Marazzi. Marca tipografica
1824 tip. Alliana in Torino. Legatura in pelle con stemma della Città di Alessandria in oro. All’interno foglietto: Città di Alessandria Scuole dirette dai Fratelli delle Scuole Cristiane. 1° premio di analisi e composizione ottenuto dall’alunno Carnovale Gio. Ato (Giovanni Antonio n.d.r.) Alessandria il 28 agosto 1845.
Vi propongo alcuni assaggi del capitolo XII, dove il Segneri cerca di spiegare l’esistenza di Dio osservando il mondo animale. Sono teorie scientifiche che oggi ci sembrano ridicole, ma che a quel tempo erano affascinanti ed innovative.
CAPO DUODECIMO
Testimonianza, che rendono di Dio gli animali,
da lui provveduti a stupore.
[…] E perché trattando di Dio, volete dunque voi che si giudichi in altra forma? Via via, chi lui non confessa, l’opere sue tutte essere testimoni di Mente altissima. Date un sol guardo alla considerazione de’ Bruti. Questa è più che bastevole a farci dire: Chi li formò, chi li pasce, chi li provvede, oh di quanto accorgimento conviene che soprabbondi! Io mi ristringo a due pensieri, per dir così, che egli di loro sì prende. A quello di mantenerne gl’individui, ed a quello di mantenerne le spezie. Tratteremo prima dell’uno, dappoi dell’altro, al pari divini.
I.
II. E quanto al mantenimento degl’individui, abbiamo sempre dianzi agli occhi un miracolo sterminato, eppure lo passiamo senza avvertenza. Non è forse un grande stupore, che albergando nell’aria, nell’acqua, e sopra la terra, tanti animali di generi sì diversi, a nessuno mai, dentro uno stuolo sì folto, manchi da vivere; sicché la fame, la qual sì frequentemente scappa dagli abissi, qual furia per consumare le popolazioni degli uomini e le provincie, se la prenda si di rado co’ bruti nelle foreste: massimamente dovendo quivi la loro provvigione riuscire proporzionata non solo al numero, e però vasta, ma ancora alle inclinazioni, e però varissima? Da ciò si scorge, non essere altri Chi da principio li fece, altri Chi dipoi li conserva, mentre sa tanto per appunto conoscere i loro gusti, e sa soddisfarli. […] II.
VII. Se non, che, quando noi vogliamo fermarci nell’artifizio di qualsisia corpo organico, non sarà facile il determinare cui si debba la palma, se alle minori opere, o alle maggiori. Certamente al sommergersi in questo abisso c’interverrà come ad un nuotatore, il quale, andando sott’acqua, da qualunque banda egli voltasi non vede altro che mar profondo. Per ora consideriamo solamente il di fuori. Con quali industrie si potevano adattar meglio negli animali tutte le parti al fine per esse inteso, o con quali invenzioni, che fossero insieme varie, insieme uniformi, che è ciò donde appare più, come già dicemmo, la verità di un intelletto operante? Mirate in prima i volatili. Voi scorgerete che la natura dà loro un piccolo capo, armato di rostro acuto per fender l’aria; dà piume lievi, per non gravarli di peso; e le dà parimente disposte in modo, che non si oppongano al vento ne’ loro voli, ma l’assecondino: dà l’ale provvedute di molti muscoli, perché sieno con esse più presti al moto, ma le dà piegate per maggior comodo loro, e incavate modestamente per quando volino e per quando riposino; per quando volino, a radunare più d’aria che li sostenti; e per quando riposino, a ricoprirsi più dall’ambiente che li molesta.
VIII. Osservate poi la differenza tra essi pienissima di consiglio. Nel popolo degli uccelli, altri si cibano in terra, e però questi hanno tutti i lor piedi adunchi, da potersi tenere di ramo in ramo, cercando il loro alimento; chi dove è vermini, come fan le beccacce; chi dov’è spighe, come i colombi; chi dov’è spine, come i cardelli; chi dov’è tronchi, come le gazze, o le ghiandaie, che rodono fin le querce.
IX. Altri si cibano in acqua, dove fanno il maggior soggiorno; e tali sono i cigni, e più simili, cui miriamo dato però collo eccessivo, affine di pescare al fondo delle lagune quei vegetabili quivi ascosi; dati i piedi spaziosi in guisa di remi, a vogare, immersi nell’onde, ma non sommersi, e dato il rostro ‘ungo, largo e schiacciato, per aggrappare i pescetti, e per ingoiarseli.
X. Altri sen vivono di rapina per l’aria, come fa il nibbio, l’avvoltoio, l’aquila, lo sparviere: e questi hanno il rostro rinforzato e ritorto, per fare in pezzi la preda morta; e l’unghie sode e sottili, per arrestare la viva, sicché non fugga.
XI. Tutti con diversa voce da unirsi insieme se vanno a schiere, come le grue che conoscono ancora re: con diverse maniere di ricrearsi, con diverse malizie per rubacchiare, e con altre vivacità in corpiccioli sì brevi affatto stupende, se nelle opere della natura non procedessero i più degli uomini come quegli ignoranti che passeggiando per li portici di qualche rinomata accademia pascono gli occhi con la veduta di quelle scuole maestose, ma nulla intendono delle scienze ivi lette.
XII. Lasciamo noi frattanto i rimproveri, benché giusti, e seguitando il discorso nostro, passiamo alla considerazion de’ Quadrupedi. Alcuni dovevano sostentarsi di carni uccise: e questi troverete armati alla mischia. I muscoli delle lor tempie sono più validi, per la forza che dovevano trasmettere alle mascelle. I denti a foggia di sega, per dividere l’inimico: con quattro zampe da arrestarlo fuggente. Le unghie adunche ed acute a tenerlo saldo, ma riposte nelle guaine delle zampe medesime perché non perdano il filo nel camminare, e non si rintuzzino.
XIII. Diversa è l’architettura degli animali che dovean pascersi d’erbe. In loro i denti sono tutti alzati ad un piano: ma gli anteriori sono più stretti e taglienti, por recidere il pascolo, o di vermene, o di virgulti, o di fieno; e i posteriori sonò più larghi ed ottusi, per masticarlo. Le unghie, dovendo solamente servir di base alla mole de’ loro corpi, sono solidissime, senonché in alcuni sono intere, in altri son bifide, in altri son fatte a dita. Sono intere in quegli animali, che sprovveduti di corna, conviene che de’ piedi si vagliano ancor per arme, com’è ne’ muli. Sono bifide in quegli che de’ lor pie dovevano puramente valersi per camminare, siccome i buoi; o dovean poterò sostenersi pascendo in greppi scoscesi, come i cervi, le capre, le pecorelle. Sono fatte a dita in quei che dei pie si dovean anche valere quasi di mani a fermar lo prede, come è in cani, in leopardi, in leoni, e in altri da caccia.
XIV. La lunghezza del collo è poi proporzionata all’altezza de’ loro stinchi. Onde il cammello, come il più alto di tutti i giumenti, è provveduto altresì di collo più lungo: altrimenti non gli sarebbe possibile pascolare se non giacendo. E perché a quella mole di carne che l’elefante si porta con esso sé non si confarebbe una tal lunghezza di collo, gli fu data per supplemento la sua proboscide, di cui si serve come di mano perfetta per vincer tutte le incomodità che gli arreca la sua grave corporatura, massimamente nello sterpare le piante qualor si pasce, o nel guadare i fiumi quando non può guadarli, se non vi nuota. […] XVI. E nello scrivere queste cose vorrei pur intignere nel più amaro fiele la penna, per abilitarla ad un’acerba invettiva contra quel superbissimo Alfonso, decimo di tal nome, re delle Spagne, che, quasi avesse il suo trono di gradi eguali a quel dell’Altissimo, si lasciò uscir dalle labbra queste empie voci, che se egli si fosse trovato presente a lui nella creazione delle cose, gli avrebbe suggerite migliori idee nel modello di esse, e migliori istrumenti nel magistero. Venga, non il suo capo scemissimo, ma la sapienza di tutte le menti umane, di tutte le angeliche, e si cimenti in tanta varietà di creature, e massimamente di viventi, o nell’aria, o nell’acqua, o sopra la terra, a riformare, non dico una spezie intera, non dico il capo, non dico il cuore, ma i1 guscio di una lumaca. […] Tal è la faccia esteriore dell’edifizio, lavorato dalla natura per casa di una bestiuola, per altro di nessun pregio, qual è la chiocciola. Or non basterebbe ella sola a farcì riconoscere Dio, massimo ancor nelle minime sue fatture? […] E se il nicchio di un vermicciuolo è di avanzo a farci irrefragabile la riprova della divina sapienza, non sarà bastante a farcela un mondo intero? Diasi pur luogo ad ogni estasi di stupore. Questa è la lode più giusta che possa da noi porgersi al Creatore, che tanto ha fatto: non celebrarne le opere, ma ammirarle:

Virtutis divine miracula obstupuisse, dixisse est
(san Gregorio Magno).
XVII. E tuttavia non è poco, se si ottenga da alcuni, che almen le osservino. Quinci, per rimetterci in via, ciò che di vantaggio anche mostra la provvidenza assistente ai bruti, si è, che prima di qualunque esperienza sanno discernere il cibo buono dal reo. Però si vede, che appena nato un cagnolino sa subito ritrovare le poppe della sua madre, e attaccarsi ad esse e spremerle, e suggerle; né mai va, per fallo a cercar quelle di una gatta. E questo avvenimento è tanto accertato, che molti animali hanno insegnate all’uomo l’erbe salubri, con la scelta che ne facevano; insegnate l’erbe nocevoli co’ rifiuti. Così parimente ravvisano i loro nimici innanzi al provarli tali, e da lor si guardano: e i pesci fuggono dalle reti prima d’esservi entrati mai: e prima di ogni riprova gli agnellini fuggon da’ lupi, non fuggono da’ mastini: le colombe si spaventano dello sparviere, non si spaventano dell’avvoltoio: e le fiere si ascondono al ruggir de’ leoni, e non si ascondono al barrire dell’elefante. Come van però queste cose? I bruti non le fanno per elezione, ma per istinto, come tra gli uomini fanno le loro i bambini: il che si raccoglie chiarissimo dal vedere, che tutti le fanno sempre all’istessa forma, benché non l’abbiano apprese. Chi fu però, che loro die tale istinto? La loro natura? Ma di questa medesima si addimanda: chi la fe’ tale? Si fece ella da sé, con determinarsi a tale aggiustatezza di operazioni, se ella è natura, ma natura di bruto? Adunque potremo dire, che ancor da sé si sia fatto quell’organo, detto idraulico, il quale, al passar dell’onda, or alza’ i tasti, or gli abbassa, con tanta legge di note armoniche, che non potrebbe far più, se egli fosse dotato d’intendimento. Tutto l’opposito. Ne’ movimenti di chiunque è mosso appare subito la virtù del vero motore (S. Th: 1. 2. q. XIII. art. 2. ad 1). Però, siccome nelle operazioni di quell’organo, privo di senso, appare l’arte umana, che gli fa dare que’ tratti tanto aggiustati al passar dell’acqua; cosi nelle operazioni de’ bruti, privi di senno, appare l’arte divina, che fa proromperli in quelle inclinazioni così prudenti, al comparire ora di un oggetto, or di un altro, che sveglia in essi variamente le spezie, cioè sveglia appunto i lor tasti.

don Marco Camillo Visconti 

direttore della Biblioteca del seminario diocesano,

Check Also

La Tradizione è Innovazione. A Milano arriva Golosaria 2023

Eccellenze del territorio La Tradizione è Innovazione. È questo il tema di Golosaria 2023 in …

%d