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Il Seminario diocesano? Una casa che dà frutti

Chiesa locale

Alessandria ha un seminario diocesano, voluto dal nostro Vescovo nel 2018 dopo la chiusura del seminario interdiocesano di Betania. Abbiamo chiesto all’attuale rettore don Domenico Dell’Omo e al padre spirituale fra Giorgio Noè di raccontarci la vita di un aspirante sacerdote. E anche un po’ la loro, “segnata” da questa responsabilità educativa.

Don Domenico, chi c’è nel nostro Seminario?

«In Seminario oggi abbiamo Michele e Alejandro al primo, Matteo al secondo e Alessandro al quinto anno».

Quattro seminaristi sono tanti o sono pochi?

«Guardando alla situazione delle Diocesi confinanti con la nostra, direi che al momento non sono pochi. Anche se questo non ci esonera dal continuare a pregare per le vocazioni al ministero ordinato».

Che cosa ti sta insegnando il tuo essere rettore?

«Personalmente questa esperienza mi sta arricchendo sia dal punto di vista umano sia come sacerdote… è faticoso, e mi interroga su ciò che il Signore mi chiede. Mi pone anche di fronte ai miei tanti limiti, ma spero di poter offrire a questi giovani un esempio di quello che è l’essere sacerdoti diocesani nella Chiesa Cattolica, nel tempo in cui viviamo. Senza nascondere le difficoltà, ma anche le gioie, che il ministero comporta, e condividendo con loro quello che mi accade nel ministero e nei vari impegni pastorali a cui sono stato chiamato. Perché è di questo che si tratta: rispondere a una chiamata che va rinnovata ogni giorno nella fiducia che se seguiamo il Buon Maestro, Gesù, non sbaglieremo strada».

Che cosa auguri ai ragazzi del seminario, per la loro vita?

«Di proseguire con gioia il cammino intrapreso e, se ci saranno momenti di difficoltà, di affrontarli insieme, nella fiducia reciproca e nell’accettazione delle “prove” che inevitabilmente si presenteranno. Chi lascia tutto per il Signore Gesù riceverà cento volte tanto già in questa vita, e la Vita eterna! Insieme a persecuzioni…».

Passiamo a padre Giorgio Noè. Che “tempo” è quello del seminario?

«È un tempo di formazione non tanto teologica, anche se ha il suo valore, quanto piuttosto spirituale. Il Signore ci chiama a diventare i suoi discepoli in modo bello: capaci di irradiare il suo amore, la sua Misericordia nel mondo in cui viviamo».

Veniamo al tuo ruolo: se tu vedessi un seminarista per così dire “non adatto”, glielo diresti?

«Sarebbe mio dovere, certo».

Però, essendo già pochi, non converrebbe chiudere un occhio?

«No, assolutamente, io collaboro a un discernimento sulla veridicità della vocazione: se ci sono cioè i fondamenti di una reale chiamata del Signore. Il mio compito è accompagnare nel cammino spirituale, quindi aiutare i seminaristi a conoscere la volontà di Dio, corrispondere alla grazia di Dio, crescere interiormente nella comprensione della Parola e vivere una corrispondenza a quella che è la grazia che il Signore ci concede».

Quando dici “spiritualmente”, che cosa intendi?

«Intendo la vita interiore. Credo che sia importantissimo, oggi, per coloro che si consacrano, una grande cura della vita interiore che si fonda sulla preghiera e sull’ascolto della Parola di Dio. Senza questi due elementi non possiamo esprimere un ministero, un servizio. Rischiamo, altrimenti, di fare un lavoro nella Chiesa che manca di un’anima. Quello che conta è il nostro rapporto con il Signore, è l’intimità che viviamo con Cristo. Se manca questa intimità possiamo raccontare tante cose imparate sui libri, ma non saremo in grado di trasmetterle».

Il seminario, dall’esterno, è accompagnato da luoghi comuni: «Si entra lì, e si rinuncia a tutto». Ma è davvero così?

«No (sorride). A qualcosa si rinuncia, così come rinuncia a qualcosa chi si sposa. Credo che la rinuncia, però, non sia l’elemento su cui puntare l’attenzione. Bisogna focalizzarci su ciò che troviamo e incontriamo. Se davvero troviamo il tesoro nascosto nel campo, come dice Gesù nel Vangelo, allora vale la pena rinunciare a tutto il resto per arrivare a possederlo. L’incontro con il Signore rappresenta per noi, chiamati da Lui, un grandissimo tesoro. La formazione più profonda al sacerdozio è quella che ci porta a ricercare sempre il Signore, anche nei momenti in cui non abbiamo più quella grande soddisfazione, quel riscontro che può venire dall’esterno. Il sacerdote si scontrerà sicuramente con la solitudine, il fallimento, il non riconoscimento da parte del mondo: ma quello che conta è il suo incontro con Cristo, quanto per lui è vero e importante».

Chi volesse verificare una possibile vocazione, cosa può fare?

«Oltre ai sacerdoti di riferimento, potrebbe venire anche da me, a Casa San Francesco. Come direttore dell’Ufficio vocazionale della Diocesi ho pure questo compito!».

Andrea Antonuccio

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