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Elogio di Conte

“La testa e la pancia” di Silvio Bolloli

Mentre siamo tutti in trepidante attesa per l’inizio dell’avventura dell’Alessandria ai playoff di Serie C, vorrei volgere ancora uno sguardo alla massima divisione del calcio italiano conclusasi proprio la scorsa domenica con alcuni verdetti, prevalentemente scontati, salvo qualche sporadica sorpresa.

Ma, più che parlar di squadre, soffermerei la mia attenzione sull’uomo solo al comando: quell’Antonio Conte che si è reso protagonista di una trionfale cavalcata al timone di un’Internazionale Ambrosiana digiuna di successi da circa undici anni, cioè da quando in panchina sedeva l’ormai exspecial one” José Mourinho.

Poche volte mi è capitato di vedere un allenatore così dileggiato e, talvolta, poco rispettato – persino dei suoi stessi colleghi – come il celebre salentino: dapprima pseudo-misteriosamente messo repentinamente alla porta della Juventus cui aveva portato tre scudetti consecutivi, poi rapidamente allontanato anche dalla conduzione tecnica del Chelsea, con lui campione d’Inghilterra, dal magnate russo Abramovich e, più di recente, osteggiato da parte del tifo neroazzurro (e da buona parte della critica calciofila italiana) e talvolta messo in discussione da illustri colleghi.

Ad esempio da Fabio Capello che, in una recente intervista televisiva, gli chiese se avesse un “piano B” durante il match: il tutto omettendo sfottò assortiti come quello del presunto toupet in testa. I numeri, in realtà, parlano totalmente a favore dell’allenatore pugliese che ha dimostrato di possedere la caratteristica tipica dei vincenti: quella di sapersi affermare al comando di squadre diverse ed in contesti geografici e anche temporali assortiti.

Già, perché la vittoria di un Campionato di Serie B con il Bari, i tre Scudetti consecutivi di una Juventus che aveva rivisto alla luce dopo il trauma di Calciopoli, la Premier League conquistata conducendo quei blues che Maurizio Sarri non era riuscito a far vincere (se non in Europa League), il primo Scudetto dopo undici anni dell’Inter e, perché no, anche il discreto risultato ottenuto con la Nazionale Italiana agli Europei del 2016 (quando era stato eliminato solo ai quarti di finale dalla Germania, peraltro ai calci di rigore), fanno sì che il cocciuto salentino – magari poco diplomatico e talvolta persino un po’ arrogante nei modi – abbia tuttavia dimostrato di avere ben chiaro che cosa significhi fare l’allenatore e, soprattutto, di saperlo fare decisamente bene.

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