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Arrivederci, don Edi

Dopo una lunga malattia, sabato 23 novembre è tornato alla Casa del Padre don Edgardo Moro, per tutti don Edi. I funerali sono stati celebrati dal nostro Vescovo lunedì 25 novembre a Borghetto di Borbera. Il giorno prima sono stati recitati per lui due Rosari: uno a Borghetto, l’altro a Lobbi, dove don Edi era conosciuto e amato. Nato a San Francisco (Stati Uniti) il 21 gennaio 1948, era stato ordinato sacerdote il 24 giugno 1979. Subito dopo è stato viceparroco a N.S. della Pietà in Valenza (1979-82); poi parroco a Mantovana (1982-95); amministratore parrocchiale a Castelferro (1992-95); parroco a Villa del Foro (1995-98); parroco a Cascinagrossa (1998-99); parroco a Litta Parodi (1998-2000); e, infine, cappellano della Casa circondariale San Michele (2001-07). Abbiamo chiesto ai suoi amici di raccontarcelo.

Partiamo da don Giuseppe Biasiolo, vicario generale del clero: «Appena arrivato ad Alessandria ho trascorso due anni nel vecchio seminario di via Vochieri con lui e altri sacerdoti. Il rettore in quel periodo don Gianni Merlano. E poi siamo stati entrambi insegnanti di religione al liceo Classico, io al triennio e lui al biennio». E com’era don Edi? «Era un tipo molto riservato, a volte un po’ “brusco”, ma con un cuore d’oro. Non era per niente ambizioso, si è sempre adattato alle situazioni, tant’è vero che ha sempre fatto il parroco nei paesi di campagna. Era veramente benvoluto dalla gente, dal popolo, perché aveva la capacità di creare rapporti che andavano al di là delle apparenze. Don Edi, se riuscivi a superare la “scorza” iniziale data dalla durezza del suo carattere, si apriva: non metteva barriere, si confidava».

Anche Maurizio Fornasiero, storico barelliere dell’Oftal di Alessandria, ha stretto un sincero legame con don Edi: «L’ho conosciuto nel 2003, nel primo pellegrinaggio che ho fatto a Lourdes. Non avevo idea di cosa potevo trovare e una delle prime tappe del pellegrinaggio è stata la confessione con don Edi. Dopodiché mi si è aperto un mondo: è riuscito a trasferirmi il suo amore per Lourdes, luogo che ha sempre cercato di frequentare, anche quando non stava bene. L’unico anno che non è riuscito a esserci, era ricoverato in ospedale. Don Edi è un prete “strano”: lo ricordo vestito con i jeans e la t-shirt nera che giocava con i ragazzi, magari con quel suo modo di fare particolare, ma non si stancava e dava una carica ai più giovani. Era una molto, molto attento alle persone. Mi ha insegnato tanto: per primo, il rispetto. Ma anche le cose più piccole, come il saluto a tutti». Una attenzione che non è mancata anche nell’ultimo periodo di vita, alla Rsa “Borsalino” di corso Lamarmora: «Lì è riuscito a costruire una comunità, ad avere un sorriso e un saluto per tutti. Lui diceva che sono tutte persone, dall’ospite all’infermiera, fino alla signora che tiene pulita la Rsa, quindi bisogna portare rispetto a ognuno. Quando celebrava la Messa, anche in Rsa, per il segno della pace lui scendeva dall’altare e andava a stringere la mano a tutti gli ospiti. Tutti. Anche nell’ultimo periodo, in cui faceva fatica a camminare, non rinunciava a passare in mezzo alla gente per stringere le mani ed elargire un sorriso».

Un ricordo commosso arriva anche da Michela Cassinelli, dama dell’Oftal e presidente dell’associazione 11.2: «Anche io ho conosciuto don Edi a Lourdes: eravamo su un pulmino che dal treno ci portava all’albergo. Ero praticamente agli inizi, non conoscevo ancora nessuno. Non mi ricordo cosa fosse successo, ma su quel pulmino ero un po’ arrabbiata, forse per una piccola discussione. E l’avevo trovato un tantino burbero… nessuno avrebbe mai pensato che poi, invece, l’avrei conosciuto così tanto, capendo quanto, sotto quella scorza un pochettino scorbutica, c’era un cuore grandissimo. Don Edi ha aiutato tantissime persone. Noi neanche sappiamo tutto quello che ha fatto: ha aiutato il prossimo non avendo nulla e non tenendo nulla per sé. Senza mai, mai dirlo. E noi lo scoprivamo quasi per caso». Cosa colpiva del carisma di don Edi? «La sua grandissima umiltà, l’attenzione per il prossimo: si ricordava i nomi di tutti, il compleanno di tutti, e a ognuno telefonava per gli auguri. Io e mio marito, Lorenzo, siamo stati sposati da lui, che si ricordava tutti gli anniversari delle “sue” coppie. Una delle cose che ho imparato frequentando don Edi è questa: la felicità non è altro che fare del bene agli altri. Per questo, quando abbiamo costituito l’associazione 11.2 abbiamo trovato il suo appoggio ed è stato un socio fondatore. Anche nell’ultimo periodo passato alla “Borsalino”, don Edi ha lasciato il segno. Gli psicologi della Rsa hanno detto: “Da quando c’è lui, la situazione è migliorata, gli ospiti stanno veramente meglio”. Riusciva a far star bene meglio tutti con le sue parole. E le sue confessioni: bellissime chiacchierate, in cui riusciva a tirarti fuori tutto e a farti sentire forte, importante, perdonato. Per me don Edi è sempre stato famiglia e casa. Mi fermo, ma potrei andare avanti ore e ore a parlare di lui».

 

Giorgio Ferrazzi

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