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La recensione – Liber pastoralis, quarta edizione

Dal 2014 al 2017 la Chiesa di Novara è stata impegnata nel Sinodo diocesano. Sulla base di quell’esperienza, arricchita dalla particolare competenza teologica maturata come docente e preside della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, il vescovo Franco Giulio Brambilla, che è anche vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha pubblicato il “Liber pastoralis”, giunto ormai alla quarta edizione (pp 346, euro 18). L’inserimento del libro nella prestigiosa collana “Giornale di teologia” dell’editrice Queriniana segnala che i contenuti del testo, pur se maturati nella circoscrizione piemontese, superano i confini locali per suscitare domande e generare risposte al di là dei confini regionali.

Si tratta di «una meditazione sapienziale sui capitoli essenziali della cura d’anime. La pastorale è la cura della vita delle persone per far crescere una comunità credente, perché sia il luogo dell’evangelo accolto e trasmesso al mondo» (p. 6). Il volume vuole reagire a una certa «accidia pastorale» che attanaglia un po’ tutti i settori della comunità cristiana, inducendo scoraggiamento e pessimismo di fronte alle pur innegabili trasformazioni sociali, che non vanno certamente nella direzione d’implementare una mentalità di fede con scelte diffuse a essa conseguenti. Un ruolo speciale per reagire a tale situazione spetta al vescovo e al presbitero, «l’uomo della comunione che presiede alla sinfonia dei carismi e delle missioni ecclesiali: ne cura il sorgere, ne custodisce la singolarità e la complementarietà, ne promuove la piena espansione missionaria» (p. 24). Per questo il cuore del loro impegno «non è soltanto la salvezza dell’anima, ma l’edificazione della chiesa come sinfonia di credenti nel cammino del popolo di Dio verso il Regno» (p. 54). Dopo queste note fondative il testo esamina i gesti della testimonianza e le situazioni più critiche nella prassi pastorale e nell’attualità, criticando il ritorno a «forme rituali che si vorrebbero “tradizionali”, ma che in realtà sono ritorno “immaginario” a una tradizione» (p. 107).

Ma non manca un giudizio negativo per quell’approccio che pone al centro la «comunità psichica» (p. 129), ossia quel modo d’intendere l’esperienza ecclesiale in base alla costituzione di gruppi in cui ci si sente accolti. Non va neppure un modello di comunità in cui semplicemente si dà una mano agli indigenti: «Sogniamo una chiesa che, accogliendo i poveri, si fa luogo ed esperienza viva di comunione, perché solo così i poveri non resteranno dei bisognosi dentro un programma di aiuti, ma diventeranno fratelli liberi» (p. 148). Dal punto di vista liturgico, oltre al biasimo per un certo tradizionalismo, il libro critica anche un percorso d’iniziazione cristiana in cui cresima e prima comunione coincidano. «L’effetto pratico è stato di aggravare il senso “conclusivo” di questi sacramenti, perché la presenza del vescovo mette di fatto l’accento sulla cresima e soprattutto l’abbandono successivo della pratica religiosa rende esile un’esperienza della comunione eucaristica distesa nel tempo» (p. 170). Ma anche spostare in avanti l’età della confermazione non risolve affatto il problema in quanto semplicemente lo dilaziona. Insomma, il saggio del vescovo Brambilla si presenta molto ricco e ragionato su ogni aspetto dell’esperienza di fede, singola e comunitaria. Sappiamo tutti molto bene che «tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare»: porre delle solide basi è però la condizione per costruire bene.

Fabrizio Casazza

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