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Passioni del prete, tentazioni del vescovo

“La recensione” di Fabrizio Casazza

Il libro di Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno e assistente generale dell’AC

Gualtiero Sigismondi, 59 anni, ordinato presbitero nel 1986, ricoprì nella natia arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve l’ufficio di parroco, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose, vicerettore prima e padre spirituale poi nel seminario regionale, vicario generale. Nel 2008 venne nominato vescovo di Foligno, nel 2015 fu eletto presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata, nel 2017 arrivò la designazione ad assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica.

Forte di queste importanti esperienze pastorali il presule umbro ha appena dato alle stampe un breve ma denso testo, Passioni del prete, tentazioni del vescovo. Peccatori fiduciosi, servi premurosi (Ave, pp 121, euro 9). Cogliamo alcuni passaggi particolarmente interessanti. «L’insidia più sottile e dannosa per un prete è l’isolamento: ciò che mina la stabilità della sua serenità psicoaffettiva non è tanto il fatto che, ritirandosi in canonica, non ha nessuno con lui, quanto piuttosto il clima di “impietosa freddezza” che talora respira fra “quelli della sua cerchia”», cosicché a volte la sua abitazione risulta «inaccessibile, una zona invalicabile, dimenticando che essa è la casa della comunità, messa a servizio dei sacerdoti, e non la casa dei sacerdoti che si pongono al servizio della comunità» (p. 51-52).

Il testo, in effetti, insiste molto sulla dimensione sinodale del ministero ordinato, a tutti i livelli. Per il sacerdote l’abbraccio di pace con i confratelli nel corso dell’ordinazione è «il segno visibile di un nuovo “stato di famiglia”» (p. 47). Accanto alle riflessioni spirituali c’è anche la proposta di rivedere il sistema del sostentamento del clero, «non certo per mettere in discussione la validità del criterio perequativo su cui si fonda, ma la sua applicazione, che non sempre distingue chi è pastoralmente impegnato a “tempo pieno” da chi si limita, con semplici prestazioni “part-time”, ad adottare l’unità di misura del “dovuto e non più”» (p. 61). Viene poi auspicata la presenza dei giovani sacerdoti nelle scuole come insegnanti di religione, sia per «favorire un’alleanza educativa con l’oratorio parrocchiale» (p. 62) sia per far crescere il prete stesso.

Per quanto riguarda il vescovo, come san Giuseppe egli «ha il compito di fare da padre ai figli che Dio genera nel grembo della Chiesa» (p. 74), pronto a servirla «con la limpidezza e la sapienza dei maestri, con l’energia e la fortezza dei pastori, con la fedeltà e il coraggio dei martiri» (p. 75). Nove le tentazioni per il successore degli apostoli: poco spazio alla preghiera, lontananza dai preti, voglia di riempire il seminario a tutti i costi, rinuncia a confessare e a confessarsi, mancanza di decisioni e di ascolto nel prenderle, rassegnazione, lamentarsi della propria comunità, ricerca dell’uniformità, iperattività e connessa mancanza di studio. Per gli emeriti il pericolo consiste nel «farsi da parte senza mettersi in disparte» (p. 102). La sintesi del ministero ordinato, secondo il vescovo Sigismondi, potrebbe essere: «Non basta consumarsi, ma occorre consegnarsi» (p. 94).

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