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Giovanni Battista Peruzzo, il vescovo dei contadini

“Alessandria racconta” di Mauro Remotti

Giovanni Battista Peruzzo nacque il 14 luglio 1878 a Terio, nei pressi del Santuario della Madonna delle Rocche di Molare, da Luca e Antonietta Ivaldi. Entrato giovanissimo nel seminario minore dei Passionisti, fu ordinato presbitero nel 1901. Dopo aver ricoperto vari incarichi di responsabilità nell’ambito della sua congregazione, venne consacrato vescovo e inviato a Mantova come ausiliario.

Malvisto dal regime fascista per via del suo forte sostegno all’Azione Cattolica, fu trasferito a Oppido Mamertina, dove resterà per quattro anni. Il 15 gennaio 1932 diventò vescovo di Agrigento. In una delle zone più povere della Sicilia, allestì a sue spese le “cucine economiche” che distribuivano gratuitamente o per pochi centesimi un piatto di minestra ai meno abbienti. Durante il secondo conflitto mondiale, mise a disposizione della Croce Rossa il palazzo vescovile e il seminario. Inoltre, appoggiò le rivendicazioni dei contadini schierandosi al loro fianco nell’occupazione delle terre dei ricchi latifondisti. Probabilmente a causa di questa scomoda presa di posizione, il 9 luglio del 1945, subì un grave attentato presso l’eremo di Santa Rosalia sulle pendici del monte Quisquina.

L’episodio è stato ricostruito nel giallo storico Le pecore e il pastore di Andrea Camilleri, il quale aveva conosciuto personalmente monsignor Peruzzo quando era redattore del giornalino scolastico sostenuto dallo stesso vescovo. Una preziosa fonte di informazioni per il noto scrittore è stata la lettura del libro L’attentato contro il Vescovo dei contadini di Enzo Di Natali. Lo incuriosì particolarmente una nota a piè di pagina che richiamava una lettera scritta dall’abadessa del monastero benedettino delle monache di clausura di Palma di Montechiaro, città fondata dalla famiglia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa autore de Il Gattopardo.

Nella missiva si affermava che dieci giovani religiose si erano lasciate morire (probabilmente di fame e di sete) per permutare la loro vita con quella vescovo, che in effetti guarì dalle gravi ferite riportate nell’attentato. Camilleri prova a fare luce sulla singolare vicenda, consultando fonti storiche e documenti letterari. «Mette in campo se stesso, con i suoi ricordi giovanili. Interroga e si interroga, sgomento, sul passato e sul presente. Intreccia cielo e terra» commenta il critico letterario Salvatore Silvano Nigro. Peruzzo continuerà la sua opera pastorale sino al 20 luglio 1963, data della sua morte avvenuta nel corso di una breve vacanza trascorsa nell’Ovadese.

All’interno della chiesa di San Francesco d’Assisi (o Basilica dell’Immacolata) di Agrigento è collocato un monumento funebre dedicato a monsignor Giovanni Battista Peruzzo. Anche un quartiere della città sicula, che negli atti ufficiali è denominato «Villaggio Gescal», è stato ribattezzato dalla popolazione «Villaggio Peruzzo» per sincera riconoscenza nei confronti del pastore che visse profondamente i problemi del suo gregge.

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