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Venticinque anni di sacerdozio: «Una scuola di vita e di fede»

Parlano don Luciano Lombardi e don Gian Paolo Orsini

Sono stati ordinati insieme in Cattedrale il 25 maggio 1996, nella veglia di Pentecoste, dall’allora vescovo di Alessandria monsignor Fernando Charrier. E questo 25 maggio hanno festeggiato il 25° anniversario di Ordinazione sacerdotale. Noi di Voce li abbiamo riuniti in redazione per farci raccontare, in questa intervista a due voci, i loro cinque lustri al servizio della Chiesa diocesana. Di chi stiamo parlando? Di don Gian Paolo Orsini, classe 1968, e don Luciano Lombardi, classe 1971, conosciuti (e apprezzati) sacerdoti della nostra diocesi.

Gian Paolo, Luciano: come siete finiti in seminario?

Orsini: «Sono entrato nel seminario di Alessandria, che allora era al Collegio Santa Chiara, il 15 settembre 1988, prima di prendere il diploma di Ragioneria. Dopo l’Ordinazione, dal 1996 al 2002 sono stato segretario del Vescovo monsignor Fernando Charrier; poi parroco a Castelceriolo, al Suffragio, e oggi nella comunità delle parrocchie del centro».

Lombardi: «Facevo lo Scientifico, e nell’estate tra il quarto e il quinto anno ho ritrovato il Signore, da cui mi ero un po’ allontanato. Ritrovandolo, ho avvertito la chiamata alla consacrazione. Sono stato indirizzato dall’allora parroco di Mandrogne, don Primo Talpo, a don Gianni Toriggia, rettore del seminario, che mi ha seguito durante l’ultimo anno delle Superiori. Dopo la Maturità, era il settembre del 1990, sono entrato in seminario. Dopo l’Ordinazione sono stato vice parroco agli Orti dal 1996 al 1998, poi a Roma quattro anni per studiare la Sacra Scrittura, al ritorno sono stato per un anno segretario di monsignor Charrier, poi parroco di Casalbagliano e amministratore di Villa del Foro. Dal 2019 sono anch’io nella comunità delle parrocchie del centro».

Che cosa avete imparato in questi 25 anni?

O: «Ho presente come prima dell’Ordinazione immaginavo il futuro. Poi, quando il futuro è diventato presente, la prospettiva è cambiata e ci sono state fatiche e soddisfazioni, un po’ come succede in una famiglia. Ho conosciuto tante persone, con molte sono nate grandi amicizie. Ho anche maturato la consapevolezza di non essere sempre all’altezza delle aspettative. Non tanto del Padreterno, ma degli altri, quelli che da noi si attendono vicinanza e umanità… confido nella loro misericordia».

L: «Per me questi 25 anni sono stati una grande scuola di vita, ho imparato a conoscere di più il Signore e me stesso. Il percorso di studi che ho fatto a Milano e a Roma è stato istruttivo, anche al di là delle competenze che ho acquisito. È stato un viaggio che mi ha aperto, e continua ad aprirmi, molto. Ho imparato a conoscere le persone: per uno come me, riservato e timido, è stata proprio una scoperta. Un viaggio bellissimo!».

Qual è la strada della Chiesa, oggi?

L: «Per me la sfida oggi è aiutare le persone a vivere l’interiorità, per rimettere il Signore al centro, rispetto alla normale routine che spesso ci distrae».

O: «Forse sono un po’ “maniaco” della liturgia, ma abbiamo dato per scontate molte cose. Penso alla celebrazione della Messa, fons et culmen della vita cristiana. Noi come la viviamo? Come un punto di partenza o di arrivo? O forse solo come un “punto e basta”? E mi chiedo anche: “Cosa diciamo a chi non ha una vita di fede”?».

Il momento più bello, e quello più difficile, di questi 25 anni di sacerdozio?

O: «Ogni tipo di esperienza ha dato soddisfazioni e fatiche. Penso alle cose belle di una comunità parrocchiale: i matrimoni, le confessioni… I momenti brutti sono quelli in cui ti trovi davanti al mistero della sofferenza e della morte. Ho in mente il funerale di un giovane di 30 anni, morto poco prima di sposarsi, e ho percepito una disperazione terribile. Devi saper accompagnare anche in quei momenti in cui non hai risposte».

L: «Il momento più bello? La celebrazione eucaristica, e poi anche il sacramento della riconciliazione, inserito spesso nell’ascolto delle persone. Molte volte vengo cercato proprio per quello, e mi sento “giusto” per quel posto. E poi è bellissimo stare con la gente in parrocchia. Momenti brutti ce ne sono stati… forse quando in alcuni casi non sono stato capito, e poi anche in quelle situazioni di dolore che umanamente sembrano non avere senso, e che la fede illumina».

Vi siete mai chiesti: «Ma chi me l’ha fatto fare»?

L: «Mi sono interrogato sul senso della risposta che ho dato al Signore, e mi scopro contento di essere sacerdote. Mi capita spesso quando celebro un matrimonio: contribuire alla gioia di chi si sposa non mi fa essere invidioso, ma mi restituisce la consapevolezza di quanto è prezioso il servizio che sto facendo».

O: «Qualche volta me lo sono chiesto, soprattutto alla sera, quando sono stanco e la giornata è andata un po’ storta (e se l’avessi affidata subito al Signore sarebbe stato meglio!). Lo scrupolo che mi faccio è legato all’immagine che do come sacerdote. Uno che mi vede può davvero dire: “Ho voglia di spendere così la mia esistenza”, così come lo dicevo io davanti alle grandi fi gure che ho incontrato nella mia vita?».

C’è una persona che volete ringraziare per la vostra vocazione?

L: «Don Gianni Toriggia, che è stato il primo ad accogliermi e accompagnarmi. Poi monsignor Charrier, che mi ha ordinato; e, infine, tutta la Chiesa alessandrina. Aggiungo due padri spirituali eccezionali: don Agostino Cesario e don Luigi Martinengo».

O: «Monsignor Charrier è stato importante pure per me, i miei primi sette anni di sacerdozio li ho vissuti con lui. Ma voglio ricordare anche don Gianni Merlano, che è stato rettore del seminario prima di don Gianni Toriggia. Un giorno mi disse: “Guarda che gli anni più difficili del seminario non sono i primi, ma gli ultimi”. E aveva ragione».

Andrea Antonuccio

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