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Separazione dello Stato dalla Chiesa in Francia del 1905

“La recensione” di Fabrizio Casazza

Hanno fatto recentemente molto discutere le raccomandazioni, poi ritirate, per i dipendenti della Commissione nella comunicazione esterna e interna dell’Unione Europea, volte a evitare involontarie discriminazioni nel linguaggio. Molti vi hanno letto il proposito di eliminare contestualmente ogni riferimento esplicito alla fede cristiana, trasformando per esempio Natale in vacanze.

A dire il vero i temi della libertà religiosa e della laicità sono da molto oggetto di discussione. Un evento fondamentale in questo dibattito fu La separazione dello Stato dalla Chiesa in Francia del 1905, che è precisamente il titolo del lavoro di dottorato, pubblicato da Gregorian & Biblical Press (pp 326, euro 32), di don Cesare Silva, parroco nella diocesi di Vigevano, giornalista, che per alcuni anni ha insegnato Storia della Chiesa presso lo Studio Interdiocesano di Teologia e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Alessandria. La Legge di Separazione fu promulgata nel 1905 dopo un lunghissimo iter che animò l’opinione pubblica fin dal 1899 e fu collegata allo scioglimento delle corporazioni religiose e all’espulsione del Nunzio Apostolico.

La Legge abolì il Concordato napoleonico del 1801 e dichiarò tutti i beni della Chiesa (compresi gli edifici di culto) proprietà dello Stato, non riconoscendo più la Chiesa Cattolica (e le altre confessioni religiose) come ente. Inoltre la Legge stabilì la laicità come principio dello Stato, negando qualsiasi riconoscimento e ruolo pubblico alla religione. La sua applicazione fu dolorosa, creando una lacerazione profonda nella società tra cattolici e laicisti, anche dal punto di vista istituzionale, che trovò un parziale accomodamento solo nel 1922. Come ci spiega l’autore, «di fronte alle sfide della multietnicità il modello francese non riesce ancora oggi a trovare una linea condivisa di azione e presenta molti punti critici perché presta il fianco a un laicismo che rischia di soffocare l’espressione religiosa nella sfera pubblica.

Questo principio deve fare i conti con la crescente presenza dell’Islam e con una società in continua evoluzione. Una sana laicità non può evidentemente discriminare l’appartenenza religiosa né impedire che essa si esprima nella vita pubblica». Dieci anni fa, in occasione del 150° anniversario dell’unità politica nazionale, Benedetto XVI spiegò che la Chiesa «non persegue privilegi né intende sostituirsi alle responsabilità delle istituzioni politiche; rispettosa della legittima laicità dello Stato, è attenta a sostenere i diritti fondamentali dell’uomo.

Fra questi vi sono anzitutto le istanze etiche e quindi l’apertura alla trascendenza, che costituiscono valori previi a qualsiasi giurisdizione statale, in quanto iscritti nella natura stessa della persona umana. In questa prospettiva, la Chiesa – forte di una riflessione collegiale e dell’esperienza diretta sul territorio – continua a offrire il proprio contributo alla costruzione del bene comune, richiamando ciascuno al dovere di promuovere e tutelare la vita umana in tutte le sue fasi e di sostenere fattivamente la famiglia».

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