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Alessandria racconta – Tradizioni pasquali di casa

Proviamo a riscoprire le tradizioni alessandrine del periodo pasquale avvalendoci ancora una volta del libro di Giovanni B. Fossati “a ‘m n’ avi∫” (me ne ricordo), edizioni dell’Orso, 2014. Nella settimana santa i riti religiosi popolari raggiungevano il loro apice. Pur inseriti nella liturgia cattolica, si rifacevano ad antichi culti pagani, quali “il mito della rigenerazione” con cui simbolicamente si attraversava la morte per superarla. Si pensi all’usanza di “far crescere al buio il frumento” (o altri cereali) affinché germogliassero assumendo un colore tendente al giallo; successivamente venivano esposti nelle chiese ad ornamento del Santo Sepolcro. Questa abitudine ricordava il culto misterico di Adone risalente al V secolo a.C. Nei tre giorni che precedevano la Santa Pasqua venivano “legate”, ossia silenziate, le campane e al loro posto si suonavano strumenti a percussione: ra cântarânna (una ruota dentata di legno che si faceva girare contro un’assicella) e ra tarabàcula (una tavola con un manico a cui erano fissati a cerniera più battenti di ferro che, una volta scossa, le battevano contro). Nel raccoglimento della sera del venerdì Santo le nonne erano solite narrare ai nipotini alcune leggende legate alla Passione di Cristo. Una delle più belle parlava del crociere, un piccolo volatile che con il suo becco tentò di togliere le spine dalla fronte di Gesù ovvero i chiodi che piagavano le mani al Redentore. Un altro racconto aveva per protagonista Asvero, il calzolaio di Gerusalemme, che schernì il Signore. Per punizione fu condannato a camminare per sempre sulla terra sino al giorno del giudizio universale, dando così inizio alla storia dell’ebreo errante. Il sabato Santo gli anziani si tergevano gli occhi con l’acqua benedetta, provvidenziale per la vista, mentre i giovani “saltavano il fosso” pieno d’acqua (un’arcaica cerimonia di origine celtica) e cantavano all’unisono con le campane: din din e dânna, Martén l’è ‘ns ra campânna, ra campânna s’è rutta e Martén l’é restà sutta (din e din e dan, Martino è sulla campana, la campana si è rotta e Martino è rimasto sotto). Finalmente arrivava la Pasqua di Resurrezione: un giorno di gioia e di festa che permetteva di sfoggiate nuovi abiti primaverili, tenendo però anche conto della possibile comparsa della pioggia, perché: “se u temp l’è matt, a suma nént matt noi” (se il tempo è matto, non siamo matti noi).

Mauro Remotti

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