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Una riflessione sulle radici della nostra fede

“La recensione” di Fabrizio Casazza

Il 25 settembre 2019 don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, intervistò per TV2000 papa Francesco in Vaticano. Ora la trascrizione di quel colloquio, con altri brani del magistero dell’attuale Pontefice e una testimonianza finale del sacerdote veneto, è stata pubblicata da Rizzoli: “Io credo, noi crediamo” (pp 206, euro 16).

Come s’intuisce dal titolo, il tema portante del dialogo è il Simbolo apostolico, cioè la professione di fede più corta, che la liturgia raccomanda di recitare specialmente nelle domeniche di Quaresima e Pasqua. Stimolato dalle domande, il Santo Padre parte dal contenuto delle enunciazioni dogmatiche per allargare lo sguardo alla comune esperienza spirituale. In fondo anche le dispute teologiche del Medioevo – oggi per noi spesso semplicemente incomprensibili – trasmettono un’idea positiva: «la consapevolezza di fondo che la fede è plurale» (p. 10).

Questa nasce anche dalla testimonianza delle persone semplici nelle situazioni quotidiane: l’esempio è quello delle badanti ucraine o delle baby-sitter filippine che portano la religione nelle case degli italiani spesso indifferenti alla religione, in maniera quasi “di contrabbando”, senza tanto clamore ma in modo efficace.

Il coinvolgimento personale è indispensabile: «quando vedo cristiani troppo “puliti”, che ritengono di possedere tutte le verità, l’ortodossia, la vera dottrina – e dicono: bisogna fare così e così –, ma sono incapaci di sporcarsi le mani per aiutare qualcuno a sollevarsi; quando vedo questi cristiani io dico: voi non siete cristiani; siete teisti con l’acqua benedetta cristiana, ma ancora non siete arrivati al cristianesimo» (pp 42-43).

Non è accettabile una fede che non connoti Dio con i suoi tratti personali descritti dalla Bibbia e lo riduca in pratica a un’idea astratta. Il vero credente mantiene invece sempre un senso di vergogna, che nasce dalla consapevolezza di essere salvati gratuitamente: «Ma guarda, ho fatto questo, la mia vita sarebbe stata un disastro se qualcuno non mi avesse preso per mano» (p. 54). In un’ultima analisi è un dono dello Spirito Santo, che offre una «pace che non libera dai problemi ma nei problemi» (p. 62).

La meta del cristiano è il paradiso, che non è un luogo ma una condizione, e la tappa precedente è il giudizio finale, che può essere descritto come un abbraccio perché «Dio è ammalato di misericordia» (p. 142). Questo dialogo aiuta a riscoprire le radici della fede e a tradurla in comportamenti adeguati, non in base al sentimento contingente ma al fondamentale sguardo benevolo di Dio su chi si affida a lui.

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