Martedì d’Avvento
La direzione di “La Voce alessandrina” mi ha chiesto di fare un bilancio dei Martedì di Avvento 2021. Lo faccio volentieri, per tenere aperto quel canale di dialogo con i lettori del settimanale che, insieme ad altri strumenti, costituisce un elemento caratterizzante della nostra comunità ecclesiale.
Gli incontri di quest’anno avevano quale tema centrale il futuro. Un tema quantomai attuale, in un tempo segnato dalla tentazione di considerare quale unico orizzonte il presente. Non a caso Giuseppe De Rita, un amico dei nostri “Martedì”, parlò qualche anno fa del “presentismo” come di una delle principali patologie della nostra epoca: il futuro ci fa paura, e allora ci consoliamo con l’evasione di un presente che tuttavia, avendo smarrito o indebolito i legami con il passato (salvo, per alcuni, brandire la “tradizione” e l’”identità” come armi contro gli altri, diversi da noi: un modo come un altro per ribadire la centralità del mio presente, del fatto che devo venire prima degli altri), non è in grado di aprirci a un legame con le generazioni che verranno.
Riflettere sul futuro nel secondo Avvento in cui l’umanità è immersa nella pandemia, è stata dunque una sfida doppia: contro il vizio del presentismo e contro la rassegnazione per una condizione di disagio e di sofferenza che sembra non avere termine. Nello sfilare dei tre incontri, abbiamo percepito sempre di più che il futuro non è più soltanto un verbo, ma è la nostra speranza: nei confronti delle minacce per la salute, intrecciate con quelle per l’ambiente e con le minacce spirituali che rendono più difficile il cammino comune nella Chiesa.
Fare i conti con il presente diventa tuttavia possibile, quando abbiamo un orizzonte in cui inserirlo. Con il Covid dobbiamo imparare a convivere (ci ha chiarito il professor Viale), perché probabilmente il virus da epidemico passerà ad endemico, con una diffusione sempre più ampia ma con conseguenze sempre meno gravi, ed è dunque importante avere informazioni sicure, essere fiduciosi nei confronti del nostro sistema sanitario e delle autorità sanitarie, individuare e mettere ai margini i propagatori di notizie false, seguire comportamenti di prudenza e di reciproco rispetto: insomma, riscoprirci comunità e non semplice accostamento di singoli.
Ricostruire davvero, non con le sole parole, ma con gesti adeguati e comportamenti coerenti, il senso e le movenze della comunità (che cammina insieme: il sinodo, di cui ci ha rappresentato le tante opportunità la professoressa Baldacci) è allora il principale lascito dei nostri Martedì. Ed è quanto il Vescovo mons. Gallese ci ha esortato a fare, come augurio non formale: fare cioè spazio dentro di noi alla novità dell’Incarnazione, e dunque prepararci al Natale come irruzione del totalmente Altro nella nostra realtà finita.
La ricostruzione della comunità è stato, del resto, il nucleo dell’intervento del professor Zamagni. Tornano utili in proposito i suoi tre suggerimenti: dare nuova linfa alla scuola come luogo educante, capace di trarre fuori da ciascuno le risorse morali e spirituali per comprendere il contesto e trasformarlo; ridurre le diseguaglianze sociali (drammaticamente aumentate negli ultimi quarant’anni, nonostante l’aumento complessivo della ricchezza), trasformando il nostro Stato del benessere da welfare delle condizioni a welfare delle capacità di vita; rivitalizzare la democrazia, oggi erosa dal populismo, dalle false verità e dall’assenza di responsabilità.
Nei tre incontri abbiamo avuto conferma che la preparazione scientifica e culturale, quando si unisce con un cuore capace di entrare in sintonia con la sofferenza, con i travagli e con i dubbi delle persone, diventa davvero un fattore di speranza, di futuro, di gioia interiore. Mi vengono allora in mente, a conclusione, alcune parole di R. L. Stevenson, nel suo “Sermone di Natale”: il Natale non è soltanto il segno miliare di un altro anno, che ci muove a un esame di coscienza, ma è un momento che induce a pensieri di gioia. Se è così, dirci “buon Natale” non è una formula banale.
Renato Balduzzi
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