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La salute del mondo: ambiente, società, pandemie

Donne e scienza

Partire dalla pandemia per ragionare su una nuova agenda globale che rimetta in discussione il nostro rapporto con la salute e con l’ambiente. Questo lo spunto di dibattito che ha visto in dialogo Paolo Vineis (professore di Epidemiologia ambientale all’Imperial College di Londra e visiting professor all’Istituto italiano di Tecnologia di Genova) e Luca Savarino (professore di Bioetica all’Università del Piemonte Orientale e membro del Comitato nazionale per la bioetica) durante il Giovedì culturale del 3 marzo all’Associazione Cultura e Sviluppo di Alessandria.

Il libro “La salute del mondo” (Feltrinelli, 2021) che i due relatori hanno scritto a quattro mani, è stato il nodo centrale da cui sono scaturite, durante la conferenza, le riflessioni sul fenomeno pandemico che hanno sempre tenuto insieme il punto di vista scientifico e quello socio-culturale. Il Covid è, infatti, un fenomeno sia naturale che sociale, spiega Vineis, e come tale non può essere trattato solo con un atteggiamento tecnicistico: se infatti il coinvolgimento dei tecnici poteva essere una soluzione nel primo periodo – quello dell’emergenza – nelle fasi decisionali successive andavano invece considerate altre dimensioni (sociale, economica, politica ed etica).

Quale sia la miscela migliore tra queste dimensioni non lo sappiamo ancora, tuttavia con molta probabilità ci saranno altre pandemie in futuro e, per questo, secondo Vineis, è necessario lavorare su una “preparedness” (letteralmente “prontezza”) a livello globale: essere preparati, avere dei piani per reagire, non solo a livello tecnico ma dando peso anche ai valori in gioco. Con la pandemia abbiamo imparato che “le malattie vengono da lontano”: una preparedness mondiale deve poter prevenire fenomeni come la deforestazione o gli allevamenti intensivi di animali che causano problemi ambientali. Questo significa tenere conto anche delle “cause distali” cioè lontane da noi, non solo di quelle prossimali, che ci riguardano più da vicino.

Tutto questo obbliga a rivedere anche la bioetica in una nuova chiave umana e ambientale. Come spiega infatti Luca Savarino, natura e società sono collegate e, in questo senso, il Covid si inquadra nella crisi ambientale più ampia: è un fenomeno “zoonotico”, cioè un salto di specie, che si prevedeva ma non si sapeva quando si sarebbe verificato, ma è anche collegato alle azioni umane sul pianeta. Il modello di sviluppo economico neoliberista e la globalizzazione hanno infatti prodotto effetti sull’ambiente e di questo dovremmo tenere conto sia dal punto di vista temporale (responsabilità verso le generazioni future) sia spaziale (responsabilità sull’ecosistema che ci circonda).

Sia la pandemia che la crisi ambientale, spiega Savarino, sono quelli che Timothy Morton definisce “iperoggetti” (elementi di dimensioni così ampie da sfuggire dalla comprensione in termini oggettuali) che hanno uno sviluppo temporale e spaziale non lineare. Occorre quindi ripensare al concetto di salute includendo, oltre alla componente umana, anche quella ambientale. In questo senso, anche la bioetica, oggi, supera i contorni dell’etica medica occidentale: non è più da intendersi solo come conseguenza della tecnica sulla vita degli individui (inizio e fine vita, ecc.) secondo un principio di autonomia, ma è da ripensare come bioetica globale, che consideri le conseguenze a medio-lungo termine della tecnica sulla vita degli individui, dell’ambiente e di tutte le specie viventi.

Questa nuova agenda etica e politica per il nuovo millennio richiama ad un senso di responsabilità verso le generazioni future, anche quelle che non ci sono ancora, perché – conclude Savarino con una frase di papa Francesco: «Nessuno si salva da solo».

Francesca Frassanito

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